L'ANALISI
03 Settembre 2025 - 15:44
Nadia Martinelli e Giuseppe Fiore
SONCINO - Cala la serranda l’ultima storica gastronomia del borgo. Con la chiusura del Soncincibus si mette la parola ‘fine’ su quel capitolo che è in fase di scrittura da sessant’anni e che racconta, nel bene o nel male, il passaggio di Soncino da paese (però unico) a città (come tutte le altre). Il tempio delle delizie era stato fondato nel ‘64 come rosticceria e polleria da Mario Pizzocheri, poi il figlio Arrigo l’aveva reso La Mecca del gourmet, diventando negli anni punto di riferimento per migliaia di clienti, tanto da meritare la targa storica di Regione Lombardia.
A seguito della scelta del titolare togato di ritirarsi ai tempi del Covid, l’attività era passata nelle mani di Giuseppe Fiore e di Nadia Martinelli, che avevano provato a darle nuova linfa. Per un po’ ci erano riusciti. Eccome. Le code, chilometriche eppure smaltite in fretta. Ma non è bastato. «Il primo anno e mezzo è stato bellissimo – racconta Fiore – ma poi la crisi è esplosa con prepotenza e la gente ha iniziato a spendere pochissimo. Il potere d’acquisto è diventato bassissimo e abbiamo visto cambiare le abitudini dei clienti sotto i nostri occhi».
Non è solo questione di tasse e spese, comunque ciclopiche: gas, bollette, forniture, guasti, riparazioni. Il vero nodo, spiega Fiore, è stato il cambio di mentalità nei consumi e ancor di più nei consumatori. «Gli stessi clienti che una volta venivano da noi a comprare un etto di prosciutto o due fettine di vitello hanno iniziato a preferire il discount. Non perché non amassero più la qualità, ma perché volevano spendere meno, anche se la differenza era di due o tre euro al chilo. E curioso quella carne l’ho provata anch’io. Sai mai, potevo essere in errore, speravo di esserlo. Macché, era squallida! Ma costava davvero poco di meno. Ha vinto, io ho perso».
Parole amare, che raccontano non tanto la sconfitta contro quelli che negli anni ‘80 avremmo definito ‘I Grandi Magazzini’, quanto la difficoltà di far percepire il valore del lavoro artigianale. «La battaglia l’abbiamo persa non contro la GdO – dice Fiore – ma contro chi non ha capito la differenza tra quantità e qualità. Dispiace. La Gdo abbonda e col numero abbindola, ma fa il suo lavoro, ed è giusto così, non c’è niente di male, anzi. Il problema è che forse la gente non può più permettersi un prodotto di livello o, almeno, del livello che intendevamo una volta».
Resta il rammarico: «È stato bellissimo all’inizio e pessimo alla fine – confessa –. Non so se i clienti abbiano sbagliato a fare certe scelte o se semplicemente non abbiano avuto alternative. Forse un giorno lo scopriremo. In ogni caso, il volto di ogni cliente mi resta nel cuore».
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