L'ANALISI
25 Agosto 2025 - 05:15
Lo sgombero del Leoncavallo di pochi giorni fa e Sandrone Dazieri
CREMONA - «Noi recuperavamo edifici abbandonati per darli ai milanesi, mentre loro ristrutturano per vendere la città agli speculatori». Lo sgombero del centro sociale Leoncavallo a Milano, a pochi giorni dallo scandalo che ha scosso politica e il mondo dell’edilizia meneghino, evidenzia i chiaroscuri che caratterizzano sempre di più il capoluogo lombardo. Contraddizioni che, per Sandrone Dazieri, scrittore cremonese e militante del Leonka per oltre un decennio, sono centrali per capire lo storico sfratto.
«Uno sfregio – per Dazieri – fatto in primis a chi quello spazio lo animava e a chi stava cercando un accordo. Entrare a gamba tesa con un’operazione così muscolare è una prepotenza tutta mediatica, mentre la questione degli spazi per quel centro resta aperta». D’altro canto Dazieri non assolve il Comune di Milano: «Vero che ne avevano riconosciuto il valore sociale e culturale ma è pur vero che in vent’anni nessuna giunta ha mai voluto normalizzare la cosa. Tanti riconoscimenti e aperture a parole ma poi nessuno aveva il coraggio di prendere una posizione chiara e dare uno spazio al Leoncavallo era sempre un problema». E ora il timore «è che continuino a ‘traccheggiare’, che i propositi di trovare una soluzione stabile restino, come accaduto fino ad ora, lettera morta».
Eppure all’interno decine di collettivi e associazioni negli anni hanno animato la scena culturale, giovanile e proletaria della città. «Non mi sto a dilungare su tutta la produzione culturale, la letteratura, l’hip-hop, gli spettacoli. Il valore di uno spazio per una città cambia col tempo e con le generazioni, ma quel centro sociale ha sempre rappresentato uno spazio ‘altro’ per la città. Un luogo dove tutti potevano entrare, al di là di quanti soldi avessero in tasca o da come si vestissero. Un posto per i milanesi, per la gente di quartiere, per i proletari e per una classe media sempre più impoverita. Proprio quella gente che l’idea di rigenerazione urbana della Milano di oggi sta cacciando, quelli a cui stanno rendendo la vita insostenibile».
Per lo scrittore cremonese il processo riguarda Milano, ma non solo: «I tempi cambiano, le città cambiano. Il problema è come la politica sceglie di orientare questo cambiamento, come sceglie di smussarne gli spigoli troppo vivi. Invece che alzare gli oneri di urbanizzazione, di destinare fondi alle case popolari e aprire centri di aggregazione si sceglie sempre di più di frammentare la comunità, di espellerla nell’hinterland e consegnare le chiavi delle nostre città a ricchi e speculatori, che le lasciano vuote, morte».
Spazi come il Leoncavallo, in questo contesto, rappresentano per Dazieri «luoghi liberati, restituiti alla gente. E che vanno difesi. Anche se oggi i centri sociali non sono quelli degli anni ‘90: al tempo erano espressione della gioventù, attiva e partecipante. Oggi, mentre al Leonka rimanevano i vecchi militanti, i giovani probabilmente hanno altri modi di esprimersi, di riunirsi e di creare. O forse devono ancora trovarli».
Per il centro sociale milanese non si tratta del primo sgombero, uno lo aveva subito alla storica sede di via Leoncavallo nel 1989. Dazieri lo ricorda bene: «Ero sui tetti a resistere. Poi mi hanno arrestato insieme agli altri, ma il fermo non venne convalidato». Poi il trasferimento, d’accordo con il Comune, fino al nuovo sfratto sei mesi dopo. «A quel punto, era il 1994, l’occupazione di via Watteau nasceva come una nuova risposta ai giochini della città. E per trent’anni non ci sono stati problemi».
Fino alla mattina di giovedì quando la polizia si è presentata a sgomberare lo stabile vuoto. Sul dibattito pubblico che ne scaturisce Dazieri sbuffa desolato: «Se il dibattito si concentra sul pagamento dell’affitto di uno spazio sociale nella città che ricicla i soldi delle mafie di tutto il mondo e che viene cannibalizzata da palazzinari e speculatori edilizie direi che c’è un problema di priorità».
Dopo lo sgombero del “padre di tutti i centri sociali” come è stato raccontato lo sfratto del Leoncavallo di giovedì, il dibattito nazionale è tornato a guardare agli spazi occupati nei diversi territori. Anche a Cremona il tema è stato affrontato a più riprese in Consiglio comunale, anche recentemente. Dopo la chiusura nel 2021, decisa dal centro sociale, del Csa Gastone Dordoni in città resta il Cs Kavarna.
Con una storia ultra-trentennale lo spazio del Cascinetto è stato un punto di riferimento del mondo libertario e centro pulsante di autoproduzione, cultura dal basso e dibattito politico. Negli ultimi anni, mentre i “kavernicoli” hanno fatto parlare sempre meno di sé per le iniziative politiche, lo spazio è finito più volte al centro della polemica per il baccano e il degrado lamentati da una parte dei residenti e della politica locale in occasione di periodiche feste e giornate al centro sociale.
E se da un lato l’opposizione ha chiesto a più riprese un intervento dell’amministrazione per sgomberare lo spazio (al quale la convenzione d’affitto non è più stata rinnovata), d’altra parte uno sgombero è stato smentito anche recentemente: «Si tratta di un tema di legalità, ordine pubblico e sicurezza. Ma non ci possiamo muovere da soli, la questione va discussa con tutti gli enti preposti» aveva dichiarato l’assessore alla sicurezza Santo Canale a novembre, rimettendo di fatto la questione nelle mani del Prefetto.
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