L'ANALISI
11 Luglio 2025 - 08:36
CREMONA - ‘N.e.e.t.’, ovvero i giovani tra i 15 e i 34 anni ‘Not in education, employment or training’; che, cioè, non studiano, non lavorano né stanno intraprendendo un percorso di formazione professionale. Secondo Istat, sono sempre meno. Buoni segnali a livello nazionale ma anche a Cremona, con una percentuale di Neet sul totale dei giovani in contrazione dal 2020 ad oggi (in provincia dal 23% del 2020 al 14,6% del 2023).
Tuttavia, il capitolo è molto lontano dall’essere chiuso. L’altro ieri, alla Camera dei Deputati, è stato presentato il progetto ‘Dedalo - laboratorio permanente sui Neet’, finalizzato a monitorare il fenomeno. Segno che la presa non va mollata, e che le quote di giovani disorientati o scoraggiati, pur contenute rispetto agli scorsi anni, restano allarmanti per l’economia italiana.
La piattaforma è stata promossa da Fondazione Gi Group in collaborazione con l’Osservatorio Giovani Istituto Toniolo, il cui coordinatore scientifico è Alessandro Rosina, di Casalmaggiore, docente ordinario di Demografia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, intervenuto mercoledì alla Camera. L’intento di ‘Dedalo’, come si legge sul sito web dedicato, è quello di «andare oltre le statistiche per cogliere le cause profonde del fenomeno Neet e progettare interventi evidence-based».
Anche secondo Chiara Mussida, docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, il calo dei Neet a Cremona e in Italia non è sufficiente per dormire tranquilli la notte. «Dal 2022 al 2023 - spiega Mussida - a livello nazionale il fenomeno si è ridotto, passando da un 23,1% ad un 16,1%. Questi 5 punti percentuali fanno la differenza; a Cremona, infatti, nello stesso periodo la contrazione è stata decisamente più lieve, con un salto dal 16,2% del 2022 al 14,3% dell’anno seguente; poco meno di due punti percentuali». I giovani, come prevedibile, hanno accolto con entusiasmo i segni della ripresa dopo la pandemia, che secondo Mussida «aveva invece portato ad esacerbare lo scoraggiamento delle nuove generazioni. Teniamo conto che la mancata volontà di cercare un'occupazione dipende dalla convinzione che le qualità dell’individuo non siano quelle richieste dal mercato del lavoro, cosa che caratterizza tanto l’Italia quanto Cremona».
Dietro a questo miglioramento ‘tiepido’, si celano cause strutturali e difficili da schiodare: «A Cremona dominano le figure professionali del settore manifatturiero - prosegue Mussida - e, di conseguenza, il ‘match’ con le qualifiche dei giovani universitari viene a mancare».
Parlando di soluzioni e interventi, «molto è stato fatto con il Pnrr, che ha permesso lo stanziamento di risorse allo scopo di ridurre l'incidenza del fenomeno. Nel 2020, la quota dei Neet pesava un quinto della popolazione giovanile». Eppure, chiarisce Mussida, «si può fare ancora molto. Dal punto di vista dell’istruzione, il Paese e la provincia devono investire sull’adeguamento del mercato del lavoro. Il percorso formativo, dal canto suo, deve accompagnare concretamente il giovane, e giocare sulla compenetrazione tra studio e lavoro. Altro tema è quello dell’orientamento (e, se necessario, del ri-orientamento) degli studenti, per evitare il ‘blocco’ del giovane nel mezzo del percorso». Bisognerebbe ripensare anche alle competenze al centro del sistema-scuola, forse incoerenti con la richiesta delle aziende: «ci si lamenta della parziale adeguatezza dell’insegnamento di alcune ‘skills’ - prosegue Mussida - , come l’informatica o le lingue straniere. In questo senso, la scuola dovrebbe saper leggere i bisogni. All'interno del mercato del lavoro, poi, occorrerebbe un percorso di collocamento più efficace». C’è poi un problema di salari: «Cremona e l’Italia non hanno un mercato attrattivo per il neofita, con stipendi di ingresso molto più bassi rispetto alla media europea. Da qui procede il fenomeno inverso a quello Neet, ovvero quello della ‘fuga di talenti’ (tipicamente giovani) all’estero».
Quello presentato l’altro ieri a Roma, spiega Mussida, è solo uno degli sforzi fatti per contrastare il fenomeno a livello nazionale. La stessa Cattolica ha all’attivo un suo progetto: «si tratta, da un lato, di intercettare i Neet - precisa - e, dall’altro, di cercare di capire le motivazioni delle loro scelte, guidarli e accompagnarli. Il progetto dedicato dell’Università Cattolica scadrà quest’anno, ma sarà probabilmente prorogato. Vengono esplorati aspetti legati all'istruzione e al lavoro, indagando le ragioni sociologiche dietro al fenomeno. Eurostat ha provato a definire il fenomeno Neet, prendendo in esame, in particolare, le motivazioni: una disoccupazione prolungata, una difficoltà familiare, problemi di salute. Altro tema è quello di porre il fenomeno in relazione con le classi d’età: i neet meno giovani, con età compresa tra i 25 e i 34 anni, sono in una condizione più grave».
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