L'ANALISI
09 Giugno 2025 - 20:35
CREMONA - «Un risultato che lascia tanta amarezza, soprattutto perché la battaglia non è stata tra il sì e il no ma sulla partecipazione». Uscita dai seggi elettorali Vittoria Loffi, referente del comitato per il Sì alla cittadinanza, non nasconde la delusione per il mancato raggiungimento del quorum per i cinque quesiti referendari. Il dato Cremonese, in linea con l’andamento nazionale, si è fermato venti punti sotto la soglia del 50%. Per la precisione nel capoluogo si è recato alle urne il 30,37% degli aventi diritto, poco distante dal 30,58% nazionale e dal 30,7% della Lombardia.
Presa complessivamente la provincia si ferma invece sotto al 27,84%, con l’affluenza più bassa a Corte de’ Cortesi - Cignone al 16,62%. Sono invece 16 i comuni dove l’affluenza ha superato il 30%, con il massimo di votanti alle urne di Pianengo, dove ha votato il 37,05% dei cittadini. Puntando lo sguardo ancor più nel dettaglio del risultato cittadino il quadro che emerge dall’analisi dei seggi al voto è variegato: quartiere Po, la sezione 17 della scuola Monteverdi, ha registrato l’affluenza maggiore, il 38,32%. All’opposto si colloca la sezione, ironia della sorte speculare, 71: a Cavatigozzi solo il 22, 84% è andato alle urne.
Ma i numeri, per quanto diversi da sezione a sezione, da Comune a Comune, parlano chiaro e le differenze contano poco: in nessuna sede di voto si è raggiunto il quorum. «Un obiettivo – continua Loffi – che sapevamo difficile ma la battaglia per migliorare quelle leggi era necessaria. E lo è ancora». Il dato che non può essere ignorato è quello dell’astensionismo, una non-espressione, che Loffi ritiene «non genuina, bensì costruita e promossa da una campagna dei partiti del centrodestra per sabotare la consultazione popolare».
Certo il risultato impone delle riflessioni sullo strumento del referendum e «dubbi sul vincolo del quorum, considerata la generale disaffezione a ogni tipo di consultazione». Ma il lavoro sui temi promossi dai cinque questi, in particolare per il dibattito sulla cittadinanza, «non è finito. Ci sono 160 associazioni e milioni di cittadini che si sono mobilitati e fatto rimettere il tema in agenda dopo anni di silenzio». Rimane la «rabbia per non aver potuto avere un dibattito franco e nel merito delle questioni poste dal referendum».
Ma anche sul fronte dei sindacati, la Cgil era tra i principali promotori della consultazione, c’è delusione: «Non si trattava di un voto su un partito, ma di un’occasione per contrastare un mercato del lavoro sempre più precario e insicuro – ha dichiarato Elena Curci, segretaria della camera del lavoro di Cremona – Il risultato rappresenta, prima ancora che una sconfitta politica, un segnale profondo di crisi democratica. Il clima attorno al referendum, al netto del sostegno della ‘nostra gente’, è stato segnato da scetticismo, distanza, indifferenza. Le ragioni non mancano: un’informazione mediatica scarsa e frammentata, un dibattito pubblico polarizzato, ma soprattutto una sfiducia generalizzata nei confronti della politica, percepita sempre più come autoreferenziale e distante dai problemi reali della vita quotidiana».
Eppure i temi sollevati dai cinque questi sollevavano, per Curci, questioni concrete per invertire la rotta della sfiducia e della precarietà: «Quando il lavoro perde dignità, quando i diritti vengono ridimensionati, quando lo stato sociale viene smantellato pezzo dopo pezzo, non sorprende che le persone smettano di credere nella possibilità di un cambiamento». L’obiettivo mancato pone nuove sfide, e nuove priorità, al sindacato: «Il lavoro come leva di emancipazione va rimesso al centro. Serve una nuova alleanza tra democrazia e giustizia sociale. Perché senza partecipazione, senza uguaglianza, senza lavoro dignitoso, la parola democrazia rischia di essere solo una parola vuota».
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