L'ANALISI
25 Maggio 2025 - 18:17
Ramia Korbosli
CREMONA - La passione per la scrittura è sbocciata da bambina. Allora, scriveva canzoni e suonava il violino. Da ragazza, ha studiato per diventare assistente di volo, poi l’incontro che ha cambiato i suoi progetti. Nel 2009, dalla Tunisia Ramia si è trasferita a Cremona. Il 7 maggio del 2013 è diventata mamma di Gabriele, il 15 luglio del 2015 di Sofia. «I miei figli sono la mia forza».
Natali a Kelibia, il mare riflesso nei grandi occhi neri, 38 anni, da dieci Ramia Korbosli è interprete simultanea nelle udienze penali in Tribunale, una presenza quasi fissa, la sua.
Nel 2010 ha perso - tragicamente e improvvisamente- la sua amatissima mamma Amina. Da questo strappo viscerale nasce ‘Muri e carezze, la mia anima per te’ (Giorgio Mondadori-Cairo editore), la sua opera d’esordio fresca di pubblicazione: un romanzo autobiografico e poetico, una lettera senza tempo alla sua mamma. «Ci sono parole che non abbiamo fatto in tempo a dire… e silenzi che gridano più di qualsiasi voce. Questo libro nasce da una ferita… ma anche dal bisogno di una carezza. È un viaggio tra le ombre e la luce, tra il dolore e la rinascita». Una storia che può essere di aiuto agli altri.
«Non ci credevo, il libro è un sogno che si avvera. Io penso che ovunque sia mia madre, le arriverà al cuore». Ramia è un mix di temperamento e dolcezza.
Il 30 luglio del 2015, il debutto come interprete: era mamma di Sofia da soli 15 giorni. «Ho ricevuto una chiamata dalla Questura». Era in corso un’imponente indagine. «E mi si è aperto un mondo. Sono grata a Gianluca Epicoco (oggi capo della Digos, ndr) che mi chiamò: è stata un’opportunità bellissima».
Per più di un anno, in una stanza della Questura Ramia ha aiutato gli investigatori. «Mi portavo la bimba, è cresciuta in Questura, l’ho svezzata lì. Mi avevano dato anche il girello».
Dall’indagine alle traduzioni simultanee nei processi, «un lavoro a chiamata» anche se Ramia è una presenza quasi fissa a palazzo di giustizia, molto stimata nel settore.
Il 31 agosto del 2010, la tragedia inaspettata. «La perdita di mia madre è stata un dolore atroce, mi sono sentita sola». Più in là negli anni, «lo psicologo mi ha detto che bisogna piangere, lasciarsi andare per togliere il peso».
Per alleggerirsi, Ramia ha ripreso a disegnare, ha accarezzato l’idea del libro. Ha ripescato le sue poesie sparse, ne ha scritte di nuove, le ha imbastite, dando forma al suo primo romanzo. «Caterina è un personaggio inventato, non ha passato tutto quello che ho passato io, ma alla base ci sono spunti presi dalla mia storia».
Ramia si racconta, apre il libro, pagina 70. Legge la poesia ‘Il peso della felicità’. Il teso: ‘Le hanno detto che la felicità è leggera, che solleva l’anima, che fa volare il cuore, ma per lei, la felicità è un peso. Ogni volta che la sfiora, sente il peso delle aspettative, il timore che finisca, il ricordo di tutte le volte in cui non è durata. E così la lascia andare, come piuma nel vento, preferendo la sicurezza del vuoto al rischio di perdere tutto’.
«Io devo imparare a non avere paura della felicità», dice. Durante la scrittura del suo romanzo, Ramia ha mandato alcuni stralci alle amiche. Voleva un parere. «Vai avanti, è da pelle d’oca». Lo è davvero, da pelle d’oca ‘Muri e carezze’, «una necessità vitale per trasformare il dolore in bellezza». A novembre scorso l’invio della bozza a due case editrici. A gennaio di quest’anno, attraverso una conoscenza, la bozza è arrivata a una gallerista d’arte di Firenze e, da qui, a Carlo Motta, responsabile Libri Editoriale Giorgio Mondadori (Cairo Publishing). La «creatura, perché è come un figlio» è stata data alle stampe, lasciando una finestra aperta sul prossimo romanzo.
Lacrime di gioia sul viso di Ramia. Nome curioso, il suo. «Non esiste: mamma voleva chiamarmi Rania, papà andò all’anagrafe, se l’era scordato. Davanti a lui c’era un signore che registrava il figlio Rami: significa lanciatore. Mio padre mi ha registrato Ramia. Per questo nome, da piccola sono stata bullizzata (lanciatrice, ma anche donna che abortisce). Poi, ad un certo punto mi è piaciuto, perché non lo ha nessuno».
Il suo pensiero va a mamma Amina: «Diventare madre è una gioia indescrivibile. Mi brucia che la mia mamma non abbia potuto conoscere i suoi nipoti, che non abbia potuto vedermi come madre». Lo sguardo verso il cielo: «Spero, mi auguro che da lassù mi guardi», la mano che accarezza il ciondolo della collanina d’oro: vi è inciso il ritratto dei sua madre.
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