L'ANALISI
17 Maggio 2025 - 05:30
Nel riquadro Stefano Rotta e Moustafa
CASALMAGGIORE - In un mondo che corre sempre più veloce, ci sono storie che meritano di essere raccontate. Perché nei gesti più semplici si può nascondere un significato profondo: un’idea di giustizia, di rispetto, di umanità. È proprio ciò che è accaduto a Casalmaggiore, vicino alla stazione ferroviaria. Qui, sotto un tiglio, è stato trovato e restituito un computer. Un’azione che potrebbe sembrare scontata, ma come è evidente, non lo è più.
Il protagonista di questa storia si chiama Moustafa. È italiano, ma viene dal Senegal, lavora come fotomodello e indossatore a Milano, e abita proprio di fronte alla stazione casalese. Il computer che ha trovato non è suo, ma ha deciso di accenderlo e scoprire a chi appartenesse, trovando una pista: WhatsApp Web era aperto. Così ha chiamato il primo contatto ed è risalito al proprietario del dispositivo.
«Dice di chiamarsi Moustafa e di essere del Senegal», racconta Stefano Rotta, giornalista di Lodi classe 1985, scrittore e socio di Legambiente. Lui è il legittimo proprietario del computer, ma soprattutto è il testimone sensibile e attento di questa piccola grande storia. Era a Casalmaggiore per una giornata sul Po, «per una navigazione didattica e musicale, con Susanna Ravelli e la Casa degli Artisti di Milano».
Un momento di tranquillità, interrotto da una chiamata inaspettata: «Come spesso mi capita ultimamente, nei miei momenti di relax, il telefono ha squillato e sullo schermo è apparso il nome di Gianmario». Cioè Gianmario Invernizzi, conosciuto come Inve, un amico di Lodi, consigliere comunale. È lui ad aver ricevuto la chiamata da Moustafa, tramite l’account WhatsApp di Stefano, e ad avergli passato il numero. «Questo ragazzo si è comportato in modo impeccabile ed encomiabile e lo dice un consigliere di estrema destra quale sono. Non è da tutti mettersi a fare ricerche per riuscire a restituire un oggetto smarrito», commenta Invernizzi.
«L'ho chiamato e ci siamo accordati per incontrarci sotto il tiglio», spiega Rotta. Una scena semplice e silenziosa, ma carica di significato. Quando Stefano ha chiesto: «Scusa, ma come conosci Invernizzi?», Moustafa ha risposto senza esitazione: «Ah, non so chi sia. Prima di andare dai carabinieri, ho aperto il tuo WhatsApp Web e ho chiamato il primo numero in alto. Mi ha detto che era un tuo amico». Un’azione senza rumore, che non cerca visibilità. Solo la voglia, naturale e limpida, di fare la cosa giusta. In un tempo che esalta la furbizia, Moustafa ha scelto l’onestà.
«Ero distratto quando ho abbandonato il portatile sotto una pianta - racconta Rotta -. Poi avevo in mano dei fogli convinto di avere con me anche il computer e solo quando mi ha chiamato Invernizzi mi sono reso conto di aver lasciato il computer sotto quel tiglio. Un grazie infinito a Moustafa».
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