L'ANALISI
13 Maggio 2025 - 08:10
CREMONA - «I risultati degli studi scientifici dimostrano che l’abuso di dispositivi mobili durante l’infanzia e la preadolescenza incide negativamente sullo sviluppo cognitivo, causando perdita di concentrazione e memoria, riduzione delle competenze linguistiche e del pensiero critico. Oltre al calo delle performance scolastiche, l’uso eccessivo degli smartphone in età precoce è riconosciuto come una delle principali cause di isolamento sociale. È giunto il momento di intervenire con decisione per tutelare il benessere e l’apprendimento dei nostri giovani». Sono parole del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, che aggiunge: «Valuteremo se estendere il divieto anche alle superiori». Proprio ieri il Ministro - nel corso della riunione del Consiglio dell’Unione europea dedicata all’Istruzione - ha presentato la proposta per una raccomandazione europea che scoraggi l’uso degli smartphone in classe in tutte le scuole primarie e secondarie di primo grado dell’Unione.
«Una proposta che farà discutere», afferma lo psicoterapeuta Roberto Marchesini, autore del volume, ‘Smetto quando voglio. Come uscire dalla dipendenza da smartphone (e magari insegnarlo ai figli)’, pubblicato da ‘Il Timone’.
L’autore sarà ospite giovedì, dalle 15 alle 17, nell’aula magna dell’Aselli, in un incontro organizzato dall’associazione Prysma A.p.s in collaborazione con i rappresentanti dei genitori del liceo Aselli, moderato dalla professoressa Paola Trombini.
Smetto quando voglio, il titolo del suo libro, suona come una provocazione.
«Forse lo è, perché non è così facile sottrarsi alla dipendenza degli schermi, anche se scientificamente non c’è una prova assoluta di una vera e propria dipendenza da smartphone o da videogiochi».
Ciò fa presupporre che, malgrado ciò, una dipendenza ci sia.
«Tale considerazione nasce dalla mia attività di psicoterapeuta e dagli incontri che ho con i ragazzi durante il setting terapeutico. Difficoltà relazionali, un profondo senso di solitudine, ragazzi che non hanno amici, ma soprattutto che sono incapaci di gestire le relazioni in presenza».
È tutta colpa dei cellulari?
«L’assuefazione al video e non solo al cellulare porta, a volte, alla riduzione del tempo del sonno. La luminosità azzurrina riattiva il nostro cervello e inibisce il riposo, ma non solo. L’attenzione dei ragazzi è sempre più breve. Ci sono ragazzi che mi raccontano che guardano le serie tv a velocità doppia, perché altrimenti si annoiano. La soglia dell’attenzione diminuisce sempre più. Si parla ormai di Tik Tok Brain. E ciò vale non solo per i video».
Che cosa intende dire?
«Nelle canzoni sono scomparsi gli assoli di chitarra e quei momenti puramente musicali che nessuno ascolta più. La musica si sente, mentre si fanno altre cose».
La soluzione?
«C’è chi dice di vietare assolutamente gli smartphone fino alla maggiore età, fino a che lo sviluppo neurale non è completo. Fino ai 18 anni non dovrebbero essere usati. Ed invece basta andare al ristorante e vedere bambini incantati da Peppa Pig sul cellulare o ragazzi chini sugli schermi».
Ma la cosa vale anche per gli adulti.
«Forse dobbiamo iniziare proprio da noi grandi. Ricominciare a dedicarci all’ascolto, mettere via il cellulare quando si parla con una persona. Sono questi alcuni consigli che fornisco, ma che spesso sono solo norme di buona educazione che ora assomigliano a delle conquiste».
Perché?
«Perché anche noi grandi non riusciamo a staccare lo sguardo dal video. Bisogna cominciare dagli adulti. Tornare a fare una cosa alla volta e dedicarsi a quella, darci il tempo della concentrazione e dell’attenzione che abbiamo perso per troppe sollecitazioni che ci distraggono. I ragazzi sono sollecitati a continui stimoli, dobbiamo aiutarli».
Eppure è difficile sottrarsi?
«Lo è perché il cellulare non è un obligo di legge, ma uno strumento con cui puoi assolvere operazioni quotidiane. Io lo so bene che utilizzo un Nokia della metà degli anni Novanta».
Come si fa a far coesistere tecnologia e ‘libertà’?
«Bisogna non farci guidare dagli strumenti. Aiutarci a limitarne l’uso, darci delle regole e condividerle con i nostri figli. Per il loro bene».
Il rischio qual è?
«Di arrivare a un punto di non ritorno. Di condannare i nostri figli a un drammatico analfabetismo relazionale. Il solo fare una telefonata li mette nel panico, perché relazionarsi in presa diretta con altri richiede competenze. Aiutarli a uscire dalla seduzione del video blu. Chi si occupa di sport denuncia mancanza di coordinamento nei movimenti, difficoltà nel gestire il corpo nello spazio e nell’approccio fisico. Sono segnali che ci devono mettere in allarme. Non vuol dire negare la tecnologia, ma attrezzarci per non esserne schiavi».
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