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Rivolta in carcere: cade l’accusa di radunata sediziosa, 4 detenuti assolti

I fatti sono dell’8 marzo del 2020: dei 15 imputati, c’è chi è stato condannato per violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale con pene dai 9 ai 10 mesi, chi a 7 mesi per danneggiamento

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

30 Aprile 2025 - 20:33

Rivolta in carcere: cade l’accusa di radunata sediziosa, 4 detenuti assolti

CREMONA - Per i detenuti che l’8 marzo del 2020 — in piena emergenza Covid - inscenarono una rivolta, come in molti istituti d’Italia, è caduta l’accusa di radunata sediziosa. Oggi il giudice li ha assolti «perché il fatto non sussiste». Dei 15 imputati, c’è chi è stato condannato per violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale con pene dai 9 ai 10 mesi, chi a 7 mesi per danneggiamento. Quattro imputati sono stati assolti da ogni accusa. Entro 90 giorni sarà depositata la motivazione della sentenza.


«Vogliamo il tampone, fateci il tampone. Vogliamo la libertà, oggi usciamo, distruggiamo tutto. Ci fate morire, mandateci fuori in libertà. Vi ammazziamo tutti». Sgabelli spaccati, finestre divelte. Pezzi e sbarre lanciati contro gli agenti, sedie in plastica e coperte date alle fiamme, focolai, un box sfondato, vetri in mille pezzi, telecamere rotte, plafoniere distrutte. Il buio e la coltre di fumo. Due agenti intossicati, un altro colpito al naso con un pugno. Sono le istantanee della protesta.

Nel chiedere la condanna a 2 anni per alcuni detenuti, il pm aveva ripercorso la notte della rivolta, scoppiata nelle sezioni A, C, D per la «falsa notizia di un detenuto e di due agenti positivi al Covid». Una «atmosfera apocalittica», per dirla con uno degli agenti della polizia penitenziaria intervenuti. «C’era acqua che colava da tutte le parti, fumo, colleghi che cercavano di entrare nella sezione C dove i detenuti avevano lanciato suppellettili e si erano barricati all’interno della sezione».

E tra i detenuti, «il più facinoroso era uno con la maglietta tipo Sandokan». Quella notte gli agenti fecero su e giù per sgomberare le sezioni invase dal fumo. Lo era anche la E, al quarto piano. Per il pm, «non era una mera resistenza passiva». I difensori (tra i quali gli avvocatiPaoloBrambilla, Corrado Locatelli e Gianluca Pasquali) hanno parlato di «stato di necessità», inquadrando il contesto della rivolta.

«I fatti sono avvenuti ai primi di marzo. Nessuno sapeva nulla sul Covid; giungevano notizie di parecchie persone che, purtroppo, morivano qua e là. E allora, pensiamo ai detenuti che sentono dire che qualcuno ha il Covid, un virus letale. In quel contesto, è assolutamente giustificato il comportamento degli imputati, che sono terrorizzati. Chiedono il tampone, addirittura la libertà. C’è il rischio di morire. Chiedono la libertà, quantomeno un tampone. I detenuti «erano convinti di essere in pericolo di vita, magari non lo erano, ma così credevamo».

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