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PIADENA DRIZZONA

Don Gianluca Mangeri e il coraggio della speranza nelle corsie d’ospedale

Presentato il libro del cappellano oncologo della Poliambulanza di Brescia che racconta storie di luce nate dentro il dolore

Davide Luigi Bazzani

Email:

davideluigibazzani@gmail.com

15 Aprile 2025 - 15:53

Don Gianluca Mangeri e il coraggio della speranza nelle corsie d’ospedale

Don Gianluca Mangeri

PIADENA DRIZZONA - Una sala capitolare gremita, un silenzio attento, e al centro un messaggio potente: la speranza esiste, anche nei luoghi più segnati dal dolore. Così si è svolta la presentazione del libro "Pellegrino in corsia. A tu per tu con la Speranza" (Edizioni Paoline) di don Gianluca Mangeri, ospite nella sala capitolare della parrocchia per un incontro che ha toccato nel profondo chi era presente.

Don Gianluca, 52 anni, originario di Isorella, medico oncologo e cappellano della Fondazione Poliambulanza di Brescia, vive ogni giorno accanto ai malati. Le sue parole non sono teoriche, ma scaturite dall’esperienza concreta di chi accompagna la sofferenza e, dentro di essa, sa scorgere luci inaspettate.

libro

«L’ho invitato per parlare di speranza», ha spiegato il parroco don Antonio Pezzetti, presentando l’incontro. «In un luogo di dolore, che fa pensare alla tristezza, scopriamo invece tanti segni di speranza».

Uno di questi segni è diventato racconto, come quello di Piera e Luigi, genitori della piccola Sofia, attesa con amore ma colpita da una malattia genetica incompatibile con la vita. «Luigi faceva fatica ad accettare la situazione», ha raccontato don Gianluca. «Eppure, dopo la nascita, l’ha presa tra le braccia, l’ha cullata. È stato un gesto imprevisto, e potente. Sofia è morta poche ore dopo, tra le braccia della madre, ma Luigi ha riscoperto la gioia di essere padre. Un anno dopo, Piera mi ha detto che Luigi sogna spesso la bimba: è diventata per lui motivo di vita».

La speranza – ha detto don Gianluca – “si accende con gli occhi, come pietre focaie”. Anche nei volti e nelle storie di chi sta affrontando l’ultima parte della propria vita.

Come Piera, circa settant’anni, ricoverata in oncologia con un libro tra le mani: la biografia di don Pino Puglisi. «L’aveva evitato per mesi, poi un giorno lo ha aperto e ci ha trovato squarci di luce», ha raccontato don Gianluca.

capellano

O come Giorgio, 65 anni, paziente oncologico, che un giorno chiede di parlare con un sacerdote. «Mi ha detto che erano più di cinquant’anni che non entrava in chiesa, e che il ricordo della madre, morta cinque anni prima, lo faceva ancora piangere. Si sentiva in colpa per aver tradito la sua fede, ma proprio lì, in ospedale, qualcosa si è riacceso dentro di lui».

Il cappellano ha parlato anche del dolore più grande: la perdita di un figlio. «Solo chi ha vissuto questa esperienza può comprendere. Non si tratta di dare risposte, ma di stare accanto, di proporre percorsi di preghiera condivisa, di creare occasioni di ascolto tra chi ha vissuto la stessa ferita. Il confronto aiuta, fa bene».

E ha concluso con le parole del poeta e religioso David Maria Turoldo: “Sperare è più difficile che credere. Aiutiamoci a sperare”. Un invito che è diventato il cuore dell’incontro: non lasciare mai spegnere la speranza, anche quando tutto sembra perduto. 

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