L'ANALISI
11 Aprile 2025 - 05:00
CREMONA - Prima l’insulto: «Sei un infame». Poi lo spintone. Sono le 11.45 quando tre giovani mettono nel mirino un ausiliario del traffico, impegnato a controllare le auto in sosta in piazza Lodi. Pochi istanti di tensione: due del gruppetto intervengono per calmare il compare che ha alzato le mani sul ‘vigilino’. Qualche altra parola offensiva risuona tra i sampietrini e la graniglia del parchetto. E, infine, i tre si allontanano: svoltano l’angolo verso piazza Giovanni XXIII e si dileguano.
È successo ieri, a poche decine di metri dal ritrovo dove, proprio in quel momento, si stava celebrando la festa della Polizia. L’ausiliario, scosso e spaventato, non ha perso tempo e ha chiesto l’intervento delle forze dell’ordine. Ai carabinieri, giunti in piazza Lodi pochi minuti dopo, ha raccontato di essere stato affrontato da un terzetto di sconosciuti, dei quali ha fornito una descrizione sommaria. Aggiungendo un particolare: «Uno era in monopattino».
L’operatore, inoltre, ha specificato che non stava compilando alcun verbale, ma stava semplicemente verificando la regolarità dei tagliandi di parcheggio esposti sui parabrezza. Come a voler rimarcare — se ce ne fosse bisogno — l’insensatezza della bravata: non una vera e propria aggressione, quanto, piuttosto, un atto di prepotenza. Con quell’aggettivo berciato faccia a faccia — «infame» — sufficiente a inserire la provocazione nella scia delle ripetute ostilità nei confronti dei tutori della legge.
Se, stavolta, sarebbe certamente fuori luogo sfoderare l’espressione ‘baby gang’, è altrettanto vero che risulta quasi inevitabile inquadrare la minaccia subita dall’ausiliario del traffico nella lunga teoria di episodi che hanno per filo rosso la violenza giovanile. Un fenomeno con cui Cremona sta facendo i conti sempre più di frequente e sempre più da vicino. Una progressione inquietante. I branchi — diversi tra loro e quasi sempre scollegati l’uno dall’altro — si muovono da ‘padroni della città’, spesso esibendo quell’arroganza che fa il paio con il senso di impunità. La risposta deve passare non solo attraverso la repressione, ma anche e soprattutto per una diffusa azione sociale indirizzata a costruire un senso di comunità come antidoto alla paura.
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