L'ANALISI
CREMONA
07 Aprile 2025 - 15:42
CREMONA - Ilaria, 22 anni, uccisa con tre coltellate dall’ex fidanzato a Roma il 25 marzo. Laura, 36 anni, strangolata dal compagno a Spoleto il 26 marzo. Sara, anche lei 22 anni, accoltellata alla gola da un compagno d’università che da un anno la vessava, dopo essere stata respinta: è successo a Messina il 31 marzo. Sono tre nomi, tre storie, tre femminicidi solo negli ultimi giorni di marzo. E portano a sedici il bilancio delle donne uccise in Italia dall’inizio del 2025.
«Sono numeri agghiaccianti», commenta Simona Frassi, vicepresidente di AIDA – Associazione Incontro Donne Antiviolenza. «Ma non parliamo di un bollettino di guerra, perché non c’è nessuna guerra: c’è una strage. Una strage di donne, uccise da uomini in quanto donne. Il femminicidio è solo l’epilogo, l’apice di una spirale di comportamenti violenti».
Nel 2024 i femminicidi in Italia sono stati 82. Erano 94 nel 2023, 95 nel 2022, 116 nel 2021 e 96 nel 2020. «Ma i numeri da soli non bastano a inquadrare il fenomeno. È strutturale. Lo vediamo anche nella cronaca locale: troppi processi per aggressioni da parte di partner, mariti, ex. Troppo spesso il “no” di una donna viene considerato inaccettabile».
Frassi sottolinea le analogie tra i casi di Sara e Ilaria: «Due studentesse, entrambe uccise a coltellate da coetanei. L’età di vittime e aggressori si abbassa, è un campanello d’allarme che non possiamo ignorare».
Qualcosa si muove: aumentano le donne che si rivolgono ai Centri Antiviolenza, le università aprono sportelli di ascolto, le Reti Antiviolenza coinvolgono istituzioni, servizi socio-sanitari e forze dell’ordine. Ma non basta. «La chiave è la prevenzione – insiste Frassi –. Serve educazione all’affettività, al rispetto, al riconoscimento dei segnali di una relazione tossica. Fin dalla scuola dell’obbligo».
Per la vicepresidente di AIDA la scuola può e deve fare molto, «a patto che ci siano risorse e personale formato. E anche la famiglia deve poter svolgere il suo ruolo educativo, il che significa politiche per la conciliazione, più nidi e più supporto alla genitorialità».
Sul fronte normativo, il recente disegno di legge che introduce il reato autonomo di femminicidio nel Codice Penale – con pena dell’ergastolo – è un passo, ma non una soluzione. «Dall’approvazione del Codice Rosso alla riforma Cartabia si è puntato tutto sulla repressione. Ma i numeri lo dicono chiaramente: non basta».
Occorrono più Centri Antiviolenza, più sportelli di ascolto, formazione per le forze dell’ordine e strutture per uomini autori di violenza. «E soprattutto un cambiamento culturale collettivo. Serve che tutta la comunità apra gli occhi. Sul posto di lavoro, a scuola, nei condomìni. Una battuta sessista fa davvero ridere? Un apprezzamento non richiesto è davvero un complimento? Se vuole la password del tuo cellulare, è per amore?».
E conclude: «Facciamo rumore. Ma facciamolo insieme, tutte e tutti. Perché la risposta a questa strage può essere solo culturale, profonda, collettiva. Solo così si garantisce davvero la libertà delle donne».
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