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I DAZI DI TRUMP: LE REAZIONI

Il sistema Cremona è pronto a resistere

Industriali e artigiani puntano sulla qualità. The Donald? «Un autolesionista»

Elisa Calamari

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03 Aprile 2025 - 19:28

Il sistema Cremona è pronto a resistere

CREMONA - Mentre il Tycoon sembra poco preoccupato dall’effetto boomerang dei dazi, le categorie economiche tastano il polso degli associati facendo i conti con un battito accelerato: è conseguenza dei timori per business plan aziendali e investimenti.

A descrivere quanto sta accadendo facendosi portavoce degli industriali cremonesi è il presidente Stefano Allegri: «L’introduzione da parte degli Stati Uniti di tariffe comprese tra il 20% e il 25% sui prodotti europei crea un danno economico che colpisce entrambi i blocchi, ma con effetti più gravi per l’Ue. Strano questo atteggiamento, visto che dal secondo dopoguerra gli Stati Uniti sono stati i principali promotori del libero commercio internazionale. Trump non sembra vedere i dazi solo come una misura di politica commerciale, ma anche come uno strumento di politica estera. Durante il primo mandato la sua guerra commerciale si era concentrata su Pechino, oggi la sua politica protezionistica prende di mira anche gli alleati, mettendo in discussione il trattato di libero scambio nordamericano e attaccando l’Europa».

Allegri osserva che se l’obiettivo di Trump è quello di riportare la produzione manifatturiera in Usa, sbaglia: «La produttività americana risente di un gap che ormai è diventato troppo grande non solo rispetto alla Cina, ma anche rispetto alla manifattura europea che, grazie ad investimenti in tecnologia, ha raggiunto livelli qualitativi e di performance difficilmente eguagliabili. Se l’Italia oggi esporta il 50% della propria manifattura, ed è il quarto Paese esportatore al mondo, significa che i fondamentali della competitività sono consolidati».

Il consumatore americano, inoltre, difficilmente sarà disponibile a rinunciare ai prodotti: «Probabilmente il risultato di una politica così aggressiva sarà l’essere costretto a pagare di più. Considerando la dimensione dell’import Usa questo genererebbe implicazioni economiche significative, tra cui un incremento dell’inflazione – continua Allegri –. Ricordo inoltre che l’industria meccanica è il settore italiano più esposto ai nuovi dazi, con esportazioni verso gli Usa per 24 miliardi di euro, seguita dall’automotive che pesa circa 7 miliardi. Il mercato americano rappresenta mediamente il 12% delle esportazioni italiane, ma per alcuni comparti questa percentuale è più alta».

Anche per l’esportazione di prodotti agroalimentari le preoccupazioni sono concrete: «I dazi in ingresso in Usa dovrebbero farci guardare ad altre aree – dice Allegri –, ma i prodotti alimentari italiani appartengono prevalentemente a una fascia medio-alta del mercato e si rivolgono a consumatori con un elevato potere d’acquisto. Non è scontato, dunque, che possano trovare facilmente uno sbocco equivalente in altri Paesi». Allegri infine fa una riflessione più ampia: «Probabilmente i dazi sono semplicemente uno strumento di ricatto e negoziazione per incidere più velocemente verso il cambiamento in un mondo occidentale governato dall’economia e però ingessato dalla burocrazia. In quest’ottica, servono per superare regole e rigidità verso un nuovo disegno dell’economia globale».

Per Marcello Parma (presidente Cna) «Trump è stato ancora più severo di ciò che si pensava, infliggendo un duro colpo ai rapporti economici internazionali, che potrebbe innescare un’escalation di guerre commerciali». Quindi argomenta: «Ha lanciato la sua offensiva con il motto ‘America first’, ma stando agli indicatori la ricaduta sarà in primis sugli Stati Uniti, ecco perché ha lasciato aperta la porta a negoziati successivi. Credo che nei prossimi giorni si delineerà un quadro più preciso, ma intanto è innegabile lo strascico di tensione e preoccupazione per tutti i settori. L’incertezza infatti interviene negativamente sulla programmazione: a farne le spese è il business plan di ogni azienda, che andrà rivisto, così come la pianificazione degli investimenti futuri. Rischiamo un rallentamento generale».

Il presidente di Confartigianato, Stefano Trabucchi, sottolinea che i rallentamenti non toccheranno solo chi esporta negli Usa: «Chiunque lavori con l’estero, a catena, avrà ripercussioni. A Cremona penso che potrà essere particolarmente colpito il settore metalmeccanico, ma a livello artigianale penso anche alla liuteria perché esportiamo in America. Di sicuro siamo di fronte ad una rivoluzione che potrebbe mettere fine alla globalizzazione. Non saranno momenti facili e sarà importante capire come reagire».

Marco Bressanelli, presidente della Libera associazione artigiani di Crema, si aspetta rassicurazioni dalla politica «perché noi di stare sempre nell’incertezza siamo stanchi». Poi prosegue: «Gli artigiani negli ultimi anni hanno imparato che i fattori esogeni sono importantissimi: dalla pandemia alle guerre, in un mercato ormai globalizzato tutto influenza. La filiera artigiana, poi, è lunghissima. Perché l’approvvigionamento delle materie prime coinvolge tutto il mondo e le ripercussioni sui costi sono immediate, di riflesso, talvolta anche causate dall’isterismo». Per Bressanelli, però, la qualità del Made in Italy è un punto di forza cruciale. Come Allegri è convinto che i prodotti continueranno ad essere richiesti dai consumatori americani, ma c’è il rischio che il mercato diventi élitario. «Per l’America, dunque, è una sorta di autolesionismo – continua –. Ma alla fine anche per l’Europa, che ha sbagliato molto negli ultimi anni, ad esempio con le scelte eccessivamente ideologiche sull’automotive. Le guerre non hanno vincitori e sarà così anche per questa guerra commerciale. Ecco perché mi auguro che la politica intervenga, che si tratti per arrivare ad un accordo».

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