L'ANALISI
20 Gennaio 2025 - 05:25
CREMONA - Il suo talento è sbocciato sin da bambino. «Restavo in piedi la notte per disegnare con le mie matite». Poi ha fatto di quella passione la sua professione usando indistintamente con la stessa maestria l’aerografo e il pennello, il compressore e i tubetti dei colori. Ha decorato con motivi fantasiosi e ricercati i caschi di campioni dei motori e di campionesse dei concorsi di bellezza. I tatuatori sono tanti ma pochi possono fregiarsi anche del titolo di artisti che invece lui, grazie alla sua abilità e alla sua versatilità, ha il diritto di rivendicare. Dopo una lunga permanenza a Parigi, dove si era fatto largo, è tornato a casa, nella villetta immersa nel silenzio di Torre de’ Picenardi, per prendersi cura della madre malata. Sì, perché Fabio Galetti, 54 anni, è pure un figlio premuroso. Una parabola, la sua, culturale e anche umana.
È a lei, Maria, la mamma oggi settantasettenne, e al padre, Antonio, muratore, un fuoriclasse della pietra, scomparso nel 1999, che la maestra delle elementari parlò per prima delle capacità fuori dal comune di quel ragazzino. «Una mattina a scuola ci disse di provare a descrivere la nostra casa, io raffigurai quella di mia zia già con la prospettiva, anche se non sapevo cosa fosse. Gli altri alunni si arrangiarono con la solita casetta piatta». Dopo le medie in paese, il Paolo Toschi, il liceo artistico di Parma. Uno sbocco naturale ma sorprendente. «Quando sono entrato in quell’istituto, c’erano disegni dappertutto. Non credevo ai miei occhi. Mi sono diplomato come grafico pubblicitario».
È in quel periodo che ha acquistato il suo primo aerografo, lo strumento utilizzato per spruzzare vernici di vario tipo. «Giravo per le discoteche e con le bombolette riproducevo sulle t-shirt i volti dei personaggi in voga, da Madonna a Zucchero. Era una cosa veloce ma ad effetto che la gente apprezzava. Poi è cominciato il discorso delle moto». Galetti ha collaborato con importanti marchi come la Harley Davidson e la Ducati. «Mi recavo sui circuiti, personalizzavo i caschi dei piloti e i telai. Ad esempio, con un cavallo nero e vicino la due ruote che si impenna».
L’allora sindaco di Torre, Valter Galafassi, definì «un lavoro, anzi, un capolavoro» la sua opera, inaugurata il 31 ottobre 2009, su una parete della loggetta comunale: una splendida veduta con tutti i monumenti e gli edifici significativi del paese. Come un viaggio che si snoda dalla stazione e tocca il municipio, le chiese, i castelli, i parchi. Ci sono pure due angeli e un armigero. «Ci ho messo un inverno andando avanti e indietro da Parigi».
Nella sua patria d’adozione ha vissuto, con l’ex moglie Octavie, per vent’anni. «Sono partito da zero, non mi conosceva nessuno, nemmeno il vicino di casa. Ho decorato, per conto di una grossa società, i caschi di professionisti del go kart, mi piacevano specialmente i caschi cromati perché ne risulta un effetto specchio molto bello».
Tra i suoi clienti anche Miss Francia 2011: Laury Thilleman. Ed è in riva alla Senna che si è avvicinato al mondo dei tatuaggi: «Un’idea che avevo accantonato quand’ero in Italia, ma in seguito mi sono convinto. Ho iniziato a coprire piccoli tatuaggi vecchi e brutti. Si presentavano reduci della Legione Straniera, stanchi di quei teschi e di quelle croci sulla loro pelle. Sono arrivato primo a un concorso con un tatuaggio in bianco e nero, realizzato in tre giorni, che rivestiva per intero il braccio: una testa di vichingo, un lupo e un corvo. Non mi sentivo sminuito come artista, ero avvantaggiato dalla mia manualità nel fare sfumature e contrasti e dall’esperienza acquisita nel gioco di luci».
Galetti ha un ricordo struggente di quegli anni, quasi si commuove: «Passavo ogni giorno davanti alla Tour Eiffel, amavo scoprire nuovi vicoli. Sono stato fortunato a trovare le persone giuste e le porte aperte, mi ero creato un bel giro. La gente aveva confiance, fiducia in me». Ma, come tutti, non aveva fatto i conti con il Covid. «Anche la Francia è stata chiusa, non lavoravo più». Si sono aggiunte le notizie in arrivo da Torre. «Mia madre si è ammalata. Per mesi ho fatto, in treno o in auto (mille chilometri), il pendolare da Parigi a qui è viceversa. Ma nel 2022 mi sono fermato per andare ad abitare con lei ed assisterla 24 ore su 24. Glielo dovevo, sono grato ai miei genitori perché mi hanno sempre incoraggiato nella mia passione». Fabio ha continuato come tatuatore.
«Ce ne sono sempre di più, non tutti però sono anche bravi disegnatori. Sto cercando di ritagliarmi il mio spazio, ma non è facile». Allo stesso tempo, come non ha mai smesso di fare, dipinge utilizzando tecniche diverse. Nel suo studio campeggia il grande ritratto di un’indiana d’America. «L’ho quasi completato, è il primo di una serie dedicata alle donne».
In un altro angolo, sul cofano di una Fiat Uno reinventato come tela, il volto di James Dean e la testa di un puledro. Ma forse una delle sue creazioni più riuscite è il quadretto appeso di là, su una parete della casa accanto: raffigura la nonna Teresina, che, alla scomparsa del marito, lo sostituì come campanaro. «Ho usato i pastelli. È un’immagine delicata, vero? Me lo dicono in tanti».
Negli ultimi mesi le sue opere sono state esposte in mostre a Pizzighettone, Pescarolo e, naturalmente, a Torre. «Sono venuti più di 200 visitatori, è stato necessario aggiungere altre pagine al registro con le firme delle presenze». Inguaribile nostalgico di Parigi, che non avrebbe voluto lasciare, ma anche legato alle radici: al cimitero di Torre, nella cappella di famiglia, si possono ammirare la sua riproduzione di un dipinto di Raffaello e il piccolo ritratto di papà Antonio con una rosa rossa. Lui, il poliedrico figlio, in questo momento un po’ alla ricerca di se stesso, è tornato a trascorrere le notti in bianco per disegnare. «Come facevo da bambino». Con una differenza: la penna Bic al posto della matita.
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