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LE STORIE DI GIGIO

L'elicotterista delle montagne

La vita e le missioni di Giuseppe Tonghini da Sommo con Porto. Uomo di pianura e pilota specializzato in soccorso alpino ha salvato vite tra neve e ghiaccio. «Paura? Era il mio lavoro»

Gilberto Bazoli

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redazione@laprovinciacr.it

06 Gennaio 2025 - 05:25

L'elicotterista delle montagne

CREMONA - Lui, uomo di pianura, ha salvato vite in montagna. «Non avrei mai e poi mai immaginato di diventare un pilota di elicotteri, ancor meno di guidarli sulla neve e sui ghiacciai». Invece è quello che è successo. «Paura? No. Situazioni rischiose? Sì. Ma era il mio lavoro», si schermisce Giuseppe Tonghini, 77 anni, sottufficiale in pensione, originario di Sommo con Porto, borgo di San Daniele Po, elicotterista di grande esperienza impegnato in innumerevoli interventi di soccorso alpino.

«Sono nato in una famiglia di piccoli agricoltori — racconta —. Volevo frequentare l’Itis ma agli esami di ammissione dopo le scuole dell’avviamento ho preso 7 in matematica e 4 in italiano, così ho dovuto iscrivermi all’Ala Ponzone». La strada di operaio specializzato era spianata ma ha deciso di imboccarne un’altra. Diversa, emozionante, avventurosa. «Agli inizi del 1965 ho presentato domanda per arruolarmi nell’esercito». Sette anni a Viterbo durante i quali ha conseguito prima il brevetto di meccanico di aerei, dopo di pilota civile, dopo ancora di meccanico specialista di elicotteri. «È poi uscito un bando per diventare pilota militare di elicotteri».


Velivoli come gli Huey, famosi per il loro impiego nella guerra in Vietnam. «Costruiti dall’allora Agusta, oggi Leonardo, erano multi ruolo. avevano gli orologi mentre adesso sul cruscotto è come se ci fossero tre televisori». Superata la selezione e completati i corsi alla scuola di Frosinone, Tonghini è stato assegnato all’aeroporto San Giacomo di Bolzano, al IV Raggruppamento dell’Aviazione leggera Altair dell’esercito italiano. Un reparto chiamato ‘gli angeli delle montagne’ per le numerose ed eccezionali operazioni di salvataggio in cui si è distinto.


«A Bolzano sono rimasto per 14 anni, costretto a conoscere le Alpi e i rifugi dal Tonale al Monte Coglians, in Friuli, l’area di nostra competenza. Era il periodo in cui si facevano i primi corsi di addestramento con l’elicottero per le guide del soccorso alpino». Uomini protagonisti di spedizioni in giro per il mondo, uomini che scalavano l’Himalaya o l’Everest. «Salivamo anche a 3.000 metri di quota e loro saltavano giù, su un metro quadrato di terreno. Roba da brividi».


Con loro Tonghini e i suoi colleghi erano sempre pronti a partire. Come quel giugno del 1980. Un alpinista bolognese durante la notte era caduto sul Sass Rigais, in Val Gardena. Aveva riportato una profonda ferita alla testa. «Il mattino dopo mi sono alzato in volo, c’era una turbolenza fortissima, davvero enorme. Sono entrato nella gola e ho compiuto un’operazione anomala: con il rotore di coda ho dovuto mettermi verso le rocce. Vicino, molto vicino. ‘È pericoloso, è pericoloso’ ripeteva il mio secondo».


Ma ce l’hanno fatta. L’escursionista venne issato con una fune sull’elicottero, sistemato su una barella e trasportato all’ospedale di Bolzano dove i medici ricucirono con circa 50 punti lo strappo al cuoio capelluto, immobilizzarono una scapola rotta e gli prestarono le prime cure agli arti congelati.
«Questo è un episodio. Ce ne sono tanti». Ma quasi bisogna insistere perché l’ex studente dell’Ala Ponzone ne parli.

«Una giovane era precipitata dalle parti del rifugio Treviso nella Val Canali, a ridosso delle Pale di San Martino. Ci trovavamo in un anfiteatro di rocce, viaggiavamo sotto le nubi basse, la visibilità era scarsa. Anche in quell’occasione per recuperare la donna, che aveva una frattura esposta alla gamba, mi sono spinto a poca distanza dalle parete. Gli altri membri dell’equipaggio non erano d’accordo su quella manovra. Prima di partire ho detto al medico: ‘Qui si rischia l’ammutinamento, li convinca che faremo la cosa giusta’. E così è stato. Un’altra volta sono decollato alle 11 di sera sopra Merano e ho scaricato i soccorritori che andavano a cercare uno scalatore disperso. Allora non c’erano i visori notturni, gli ostacoli non si vedevano. L’operazione è stata possibile perché lassù il buio arriva dopo».


Durante una delle periodiche esercitazioni militari lungo tutto l’arco alpino, uno dei momenti più difficili. «Trasportavo un obice di 12 quintali. La notte aveva nevicato, ma non ci avevano avvisato. Quando ho staccato il cannone, dalla neve freschissima si è alzata una nube che non si vedeva più niente. Ma ci sono riuscito lo stesso senza problemi. Invece il mortaio sganciato dall'altro velivolo si è danneggiato». Dopo i 14 anni a Bolzano e prima dei quattro a Parma su elicotteri da ricognizione («Mi divertivo a passare sotto i ponti sui fiumi»), i quattro alla base di Orio al Serio come collaudatore di produzione.

«Qualche sorvolo di San Daniele me lo sono concesso». Nel gennaio 1995, il congedo, con il grado di maresciallo aiutante, dopo trent’anni di servizio. «Gli ultimi due con tre by pass. Sono tornato alle origini, al mio paese, con mia moglie Renata, originaria di Cremona, che mi aveva seguito a Bolzano. Ho ripreso a fare il contadino negli appezzamenti di famiglia assieme al mio caro fratello Vanni ma ho smesso alla sua morte, pochi mesi fa».


Per la settantesima primavera la figlia, Maura, gli ha organizzato una grande festa con sorpresa. «Sui prati di una cascina a Zibello è atterrato un elicottero da cui sono sbucati i miei commilitoni con le loro consorti. Non ho perso l’occasione per farmi un giretto: era un AS 350B. Sono anche salito su un AW 139: il tecnico, un mio amico, eseguiva i controlli del rotore principale qui in zona, dove ci sono spazi maggiori rispetto alla città, e il secondo pilota mi ha lasciato il suo posto». Giuseppe, è così che vuole essere chiamato, raccoglie le sue fotografie, comprese quelle della chiesa Carè Alto, nel gruppo dell’Adamello, prima e dopo il restauro.


«È la cappelletta costruita dai profughi dell’Europa dell’Est durate la Prima Guerra mondiale. Ho trasportato il legname e altri materiali per la ristrutturazione». Dietro la cartolina, queste parole: ‘Si ringrazia sentitamente il sergente maggiore Tonghini per aver contribuito in modo tangibile ai lavori’. Tra la documentazione spicca un bell’articolo di un vecchio numero della gloriosa Selezione dal Readers Digest su una delle sue tante imprese. «C’è scritto che quella volta per raddrizzare l’elicottero e portarlo fuori dalla gola con i motori al massimo ho artigliato i comandi. Che esagerazione: li ho solo afferrati».

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