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SALUTE E TERRITORIO

Diabete di tipo 1, screening pediatrico: svolta nella prevenzione

Entro il prossimo anno, si prevede di estendere il programma su tutto il territorio nazionale. La diagnosi precoce nei bambini rappresenta un passo fondamentale per prevenire le gravi complicanze legate alla malattia, in particolare la chetoacidosi

Cinzia Franciò

Email:

cfrancio@laprovinciacr.it

11 Novembre 2024 - 12:02

Diabete di tipo 1, screening pediatrico: svolta nella prevenzione

CREMONA - La diagnosi precoce del diabete di tipo 1 nei bambini rappresenta un passo fondamentale nella prevenzione delle gravi complicanze legate alla malattia, in particolare la chetoacidosi, che può essere fatale. Secondo un recente studio, la tempestiva individuazione della malattia attraverso lo screening riduce del 94% il rischio di sviluppare questa pericolosa complicanza. Un'ottima notizia che arriva in occasione della Giornata Mondiale del Diabete, grazie al lavoro degli esperti della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP), che hanno analizzato i risultati di due importanti ricerche pubblicate sulla rivista Diabetologia.


LA CHETOACIDOSI: UNA COMPLICANZA FATALE SE NON PREVENUTA

La chetoacidosi diabetica è una delle complicanze più gravi e pericolose del diabete di tipo 1. Si sviluppa quando l’organismo non riesce a produrre abbastanza insulina, iniziando a scomporre i grassi per produrre energia. Questo processo porta all'accumulo di chetoni nel sangue, sostanze acide che, in concentrazioni elevate, possono causare alterazioni neurologiche e, nei casi più estremi, mettere in pericolo la vita del bambino.

Valentino Cherubini, presidente della SIEDP e tra i maggiori esperti al mondo di diabete pediatrico, sottolinea l’importanza di una diagnosi tempestiva: “La chetoacidosi rappresenta un grave rischio per la vita dei bambini con diabete di tipo 1, ma con la diagnosi precoce e un trattamento adeguato, è possibile evitare questa complicanza”.


I DATI SUI BENEFICI DELLO SCREENING

Un importante studio condotto su 59.000 bambini in 13 Paesi, tra cui l'Italia, ha evidenziato che la frequenza di chetoacidosi è particolarmente alta nei bambini che vengono diagnosticati solo quando la malattia si manifesta con sintomi gravi. In Italia, dove questo scenario è più comune, la percentuale di bambini colpiti da chetoacidosi arriva al 41,2%, con picchi significativi tra i più piccoli e tra i 10-12 anni.

Un altro studio, condotto in Germania nell’ambito del progetto Fr1da, ha mostrato che nei bambini sottoposti a screening preventivo, la frequenza di chetoacidosi è scesa drasticamente al 2,5%, con una riduzione del rischio di ben il 94% rispetto a quelli non monitorati. Questo confronto tra i dati italiani e tedeschi conferma l'efficacia dello screening precoce nella prevenzione della chetoacidosi.


LO SCREENING IN ITALIA: UNA LEGGE INNOVATIVA PER LA SALUTE DEI BAMBINI

Grazie all’introduzione della legge 130/2023, l'Italia è diventata il primo Paese al mondo ad avviare un programma nazionale di screening pediatrico per il diabete di tipo 1. La legge prevede test regolari per i bambini tra i 2 e i 3 anni, con una seconda fase di screening tra i 5 e i 7 anni.

Cherubini sottolinea l'importanza di questa iniziativa: “La legge 130/2023 è una grande innovazione che segna un cambiamento fondamentale per la salute dei bambini italiani. Grazie allo screening, è possibile identificare precocemente i bambini a rischio e prevenire la chetoacidosi, una complicanza che può essere fatale”.


IL PROGETTO PILOTA E I PRIMI RISULTATI POSITIVI

A partire da marzo 2024, è stato avviato un progetto pilota in 4 regioni italiane, che ha coinvolto finora 3.600 bambini. I risultati preliminari mostrano che lo 0,23% dei bambini sottoposti al test sono risultati positivi per i marker del diabete di tipo 1. Questa percentuale, pur bassa, suggerisce che con l’estensione dello screening su scala nazionale, molti bambini potrebbero beneficiare della diagnosi precoce.

Entro il prossimo anno, si prevede di estendere il programma su tutto il territorio nazionale, con l’obiettivo di raggiungere tutti i bambini di età compresa tra i 2 e i 7 anni. Se il programma proseguirà con successo, si stima che ogni anno circa 1.113 bambini saranno identificati come ad alto rischio di sviluppare il diabete di tipo 1. Di questi, grazie alla riduzione del rischio di chetoacidosi al 2,5%, oltre 450 bambini all’anno potrebbero evitare questa complicanza pericolosa.

PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA DISPONIBILE TEPLIZUMAB PER USO COMPASSIONEVOLE

Teplizumab, approvato negli Stati Uniti dalla FDA nel novembre 2022, primo farmaco al mondo capace di ritardare l’esordio clinico del diabete di tipo 1, è ora disponibile in Italia per uso compassionevole a partire dai bimbi di età pari o superiore a 8 anni con diabete di tipo 1 di stadio 2, positivi a due o più autoanticorpi caratteristici della malattia e con condizione di disglicemia. L’utilizzo per uso compassionevole sarà consentito anche nei centri di diabetologia pediatrica che ne faranno richiesta.

“Si tratta di un anticorpo monoclonale che si somministra per via endovenosa e che permette di ritardare l'insorgenza del diabete di tipo 1 in chi manifesta i primi segni di questa patologia consentendo ai pazienti di vivere mesi o anni senza il peso della malattia – spiega il presidente SIEDP-. Il farmaco prevede la somministrazione una volta al giorno per due settimane ed è capace di rallentare la progressione della malattia legandosi a specifiche cellule del sistema immunitario che, normalmente, agiscono nella difesa dell’organismo contro molti patogeni, ma che nelle persone con diabete di tipo 1 sono tra le responsabili della risposta autoimmune errata che contraddistingue la patologia – prosegue -. Come emerso da uno studio su 76 pazienti con diabete di tipo 1 in stadio preclinico, dopo circa 51 mesi dalla somministrazione del farmaco, il 45% dei 44 pazienti che hanno ricevuto l’anticorpo monoclonale è stato diagnosticato con diabete di tipo 1, rispetto al 72% dei 32 pazienti che hanno ricevuto un placebo, con un ritardo significativo nell'esordio della malattia”, conclude Cherubini.

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