L'ANALISI
06 Novembre 2024 - 05:10
CREMONA - È un gioco di incastri colto e affascinate, non è solo il racconto di un attore prolifico (in tutti i sensi), ma è il tentativo (riuscitissimo) di intrecciare la vicenda artistica di Ugo Tognazzi con quel periodo irripetibile per la storia del cinema che fu la Commedia all’italiana, cartina di tornasole di un’Italia trasformata dal boom economico, che passava dalla cultura rurale a quella industriale/consumistica.
Tutto questo racconta con densità di analisi e capacità di sintesi Elena Mosconi nel saggio, appena pubblicato da Il Mulino, ‘Ugo Tognazzi. Fenomenologia di un mostro della commedia all’italiana’. Il titolo e sottotitolo non lasciano dubbi sull’approccio, come spiega la stessa autrice, docente di storia del cinema presso il Dipartimento di Beni Culturali dell’ateneo di Pavia e animatrice dell’Archivio Tognazzi: «In questo lavoro ho cercato di raccontare la figura di Ugo Tognazzi come chiave interpretativa e all’interno del fenomeno della commedia all’italiana di cui fu un assoluto protagonista, capace di incarnarne le mostruosità – spiega -. Visto da vicino Tognazzi, più di altri colleghi che attraversano il vasto campo della commedia di costume, assume fisionomie molteplici, fatte di permanenze e variazioni, certamente legate alla maturazione fisica dell’uomo, ma strettamente aderenti a personaggi che sono espressioni di filoni, strategie narrative, tipi sociali differenti».
E per capire questo approccio il suo lavoro procede per capitoli tematici e soprattutto, sembra di intuire, va in cerca dell’origine di quella maschera sfaccettata e a tratti inquietante, mostruosa, appunto, che incarnò Tognazzi.
«Per questo motivo dopo un capitolo dedicato all’uomo pubblico e privato in cui ho affrontato la costruzione della sua celebrity da parte dei media di ampia diffusione, narrazione che si intreccia con i suoi personaggi e si concentra sul tema del gallismo, della famiglia allargata e della cucina, ho ritenuto opportuno mettere in adeguata luce il periodo iniziale di Tognazzi, spesso poco studiato, un Tognazzi che arriva dal varietà, ne porta alcuni schemi del in televisione in coppia con Raimondo Vianello e in una produzione quantitativamente ampia di film che dalla rivista partivano».
Perché è così importante Tognazzi del varietà anni Cinquanta?
«Perché Tognazzi in quelle esperienze mette a punto la sua maschera. Mette in atto una demistificazione di alcuni topoi umani che lo preparano a certa feroce e comicissima demistificazione che più avanti metterà in scena la commedia all’italiana. Ad esempio in un film, non certo memorabile, Totò sulla luna, Tognazzi incarna un amante della fantascienza e mette in scena la parodia del filone fantascientifico americano, oppure in Marinai, donne e guai va in scena la parodia della neonata tv italiana e Tognazzi fa il verso a sé stesso».
Sembra di capire che la mostruosità, il lato amaro delle maschere di Tognazzi trovino una loro origine nelle esperienze maturate negli anni Cinquanta, destinate a compiersi all’interno della Commedia all’italiana?
«Tognazzi quando arriva la Commedia all’italiana è pronto, ha in sé la capacità di demistificare e irridere le maschere di un’Italia affascinata dal benessere e rapita dal boom economico. E soprattutto non ha paura di vestire panni scomodi».
Non era da tutti affrontare un ruolo come quello ne Il federale.
«Questo è un esempio. Tognazzi mette in scena e demistifica la figura del fascista della prima ora. Ma non si limita a irriderlo, ne mostra un lato umano e ne fa emergere la disillusione, è maschera comica ma non prova di quella malinconia e amarezza che Tognazzi seppe sempre incarnare».
Sotto questa cifra di parodia e poi del grottesco la sua analisi porta a vedere come la maschera, meglio le maschere di Tognazzi contribuiscano a demistificare e, al tempo stesso, fotografare l’Italia del boom degli anni Sessanta, fino alle inquietudini del decennio successivo.
«Non c’è ambito del vivere sociale che Tognazzi non tocchi. Basti pensare a I mostri di Dino Risi. Fra i focus che propongo c’è ovviamente la disanima legata alle relazioni sentimentali e familiari che Tognazzi analizza, irride fino ad anticipare alcune tematiche, anche nella sua vita provata che ad un certo punto sembra coincidere o avere una sua parte non da poco con la sua attività artistica e attoriale. La caduta dei valori tradizionali e del matrimonio li si trova in La marcia nuziale di Ferreri, nel Magnifico cornuto il tema del tradimento viene portato nella società dei consumi. Come non pensare a Ménage all’italiana di Franco Indovina».
Dai rapporti relazionali alle cose, ai consumi il passo è breve.
«E Tognazzi, come spesso accade, anticipa i tempi. E allora nel film, Una moglie americana di Gianluigi Polidoro si assiste alla cosificazione della relazione matrimoniale. Tognazzi porta in scena la corsa sfrenata all’accumulo di beni e di rispettabilità presto destinata a infrangersi contro i muri dell’individualismo e della disgregazione del copro sociale, a cui si è sottoposta in particolare la borghesia».
Da qui la definizione di mostro?
«Dal film a episodi di Risi, alla Donna scimmia di Marco Ferreri in cui è il contesto a dettare i comportamenti, Tognazzi incarna personaggi che sanno essere cinici e abietti e sono il prodotto di una società deformata nei suoi connotati sociali. Tognazzi ne incarna le diverse tipologie, tratteggiate da vari registi con una tavolozza di colori che si incupiscono nel passaggio dagli anni Sessata al decennio successivo, quando l’ironia cede il campo progressivamente alla deformazione apertamente grottesca. In questo Tognazzi sa essere sublime e inquietante, e conferma quanto sia stato importante quell’apprendistato sui palcoscenici negli anni Cinquanta».
Fra le monografie dedicate all’attore c’è poi l’attenzione alla storia e alla regia come chiusura di un ritratto tematizzato della figura di Tognazzi.
«Ho cercato di analizzare i film ambientati nel passato da quelli ambientati nella Roma papalina, come quelli diretti da Luigi Magni o alle commedie che affondano uno sguardo critico sul presente più immediato, immaginando scenari apocalittici. C’è poi l’aspetto della produzione registica di Ugo Tognazzi che ama sperimentare, ma che sono poco amati da critica e pubblico. Ciò che ho cercato di mettere in evidenza è la inesausta voglia di Tognazzi di mettersi in gioco con generosità e amore del rischio. Oggi credo la figura di Ugo Tognazzi non abbia nulla da invidiare a quella di altri suoi colleghi come Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni e i grandi della Commedia all’italiana. In questo Olimpo Ugo Tognazzi ha un ruolo e uno spazio non secondario».
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