L'ANALISI
25 Agosto 2024 - 05:20
DEROVERE - È il comune più piccolo della provincia con i suoi 278 abitanti e per amministrarlo serve comunque impegno, passione, ma soprattutto la capacità di gestire le numerose difficoltà che inevitabilmente un ruolo simile comporta. Mauro Busseti, sindaco di Derovere da poco più di due mesi, ogni giorno deve cercare di fare il bene del proprio territorio scontrandosi però con una realtà che spesso appare più dura del previsto.
Sindaco Busseti, cosa significa essere primo cittadino del paese più piccolo della provincia?
«Un’esperienza unica nel suo genere che presenta grandi sfide, opportunità, ma anche e soprattutto notevoli difficoltà. Serve un forte di senso di responsabilità per far quadrare i conti, stare al passo con quello che la burocrazia, i tempi moderni, le esigenze dei miei concittadini ti impongono. Ed è tutt’altro che facile».
Quali sono le maggiori difficoltà che riscontra?
«La prima cosa è non avere a disposizione grandi risorse, non solo inteso come fondi per potere garantire determinati servizi, ma anche come personale che permetta di rispondere alle richieste burocratiche ed amministrative sempre più stringenti. Un comune piccolo ha gli stessi doveri legislativi di quelli più grandi, ma si deve lavorare il doppio per gestirli al meglio e io, assieme alla giunta, mi occupo di molti più aspetti della amministrazione rispetto ai colleghi delle grandi città. Qualsiasi cosa per noi può diventare quasi un ostacolo insormontabile».
A cosa si riferisce?
«Dobbiamo organizzare tutto al centesimo perché non puoi permetterti di rifare un asfalto, un marciapiede o tagliare il verde pubblico contemporaneamente; se poi devi accantonare soldi nell’ambito sociale, e la nostra popolazione comincia ad invecchiare, devi inevitabilmente rinunciare ad altri interventi. E se c’è un imprevisto non so se posso risolverlo».
Come si fa a sopravvivere?
«Credo che l’unica cosa che ci può salvare sia un’intesa tra più comuni per poter condividere la gestione dei servizi. Non parlo di fusioni o unioni, perché sappiamo perfettamente che il campanilismo nel nostro territorio, ma come penso un po’ dappertutto, sia abbastanza radicato. Nessuno vuole scomparire o essere dimenticato perché ogni paese ha una propria identità che vuole mantenere. Ed è giusto così. Una sorta di accorpamento sovracomunale che gestisca la burocrazia e i servizi potrebbe essere un valido aiuto: in questo modo i piccoli comuni mantengono la loro territorialità, ma senza morire del tutto».
Ha dunque senso fare il sindaco di un paese così piccolo?
«Sì, finché il Comune esiste, certo che ha un senso — non ha dubbi, Busseti —. Probabilmente i comuni più grandi storceranno il naso, ci vedono solo come un ulteriore costo nella macchina amministrativa, ma io sono convinto sia giusto così. Anche i piccoli borghi hanno esigenze ed è giusto salvaguardarle. Votando i cittadini investono nella speranza che tu tenga il paese vivo, al passo coi tempi».
Che rapporto ha con i suoi concittadini?
«Questo è probabilmente uno degli aspetti più belli del mio incarico. Il rapporto è ovviamente diretto perché tutti mi conoscono, mi fermano per strada e diventi un po’ il punto di riferimento come accadeva una volta, quando il sindaco aveva un peso sociale importante e il suo ruolo veniva visto con grande rispetto. Senti che fai parte di una comunità orgogliosa della propria identità e che capisce i grandi sforzi fatti per rimanere in piedi».
Qual è la sua soddisfazione più grande?
«Quella che muove, credo, tutti gli amministratori dei nostri tempi: fare qualcosa di concreto per il tuo paese, nonostante le molteplici difficoltà, l’impegno richiesto e il tempo che inevitabilmente sottrai a te stesso. Quando varco la soglia del municipio, però, so perfettamente che ho riempito un ulteriore tassello per il futuro del mio paese».
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