L'ANALISI
14 Luglio 2024 - 13:51
SONCINO - Chi non ha mai visitato la Pieve di Santa Maria Assunta (che dal 600 al 615 è stata anche sede vescovile) forse potrebbe non comprendere la portata storica dell’evento o il perché il borgo sia così entusiasmato alla notizia, eppure si tratta veramente di un passaggio epocale: dopo esattamente 108 anni l’Organo Monumentale del Bernasconi, un colosso da tremila canne, lascia la sua sede e vira in direzione della Bottega Organaria di Soncino dove il maestro Ugo Cremonesi e il suo team cominceranno un lavoro di restauro che durerà non meno di tre anni. Si tratta forse del più importante e complesso cantiere legato alla chiesa soncinese che si ricordi nell'ultima metà di secolo. Il costo dell’operazione ‘chirurgica’? Intorno ai 300 mila euro.
L’arciprete della pentaparrocchia don Giuseppe Nevi: «La liturgia è il cuore e non potevamo permettere oltre che si rinunciasse a uno strumento che può renderla al meglio. L’avevano capito i nostri padri, che hanno non a caso realizzato un’opera meravigliosa e maestosa. C’è poi il valore artistico. L’impegno, anche economico, è importante, ma il secondo organo più grande della diocesi non poteva più restare silente».
Già le grandi canne di facciata sono così torreggianti e allo stesso tempo delicate che, per spostarle di pochi metri e poggiarle sui banchi c’è voluta una squadra di restauratori al completo. Questo potrebbe già dare l’idea delle dimensioni ciclopiche dell’organo della parrocchiale ma, per fugare ogni dubbio, basti citare la presenza di altre tremila piccole canne e ben tre tastiere. Il maestro Cremonesi lascia da parte i tecnicismi e chiarisce: «Sì, di fatto è come restaurare tre grandi organi in uno».
Ma perché prendersi comunque tanta briga? Perché investire tanti soldi? Due domande, la risposta però è una sola e sta nella storia dello strumento musicale. Il capolavoro di organistica, ma a livello strutturale anche di architettura e arte sacra, è una creazione di Giuseppe Bernasconi, iconico organista e grande amico di San Giovanni Bosco, che lo realizzò nel 1886. La chicca però è un’altra: le grandi canne della parte centrale risalgono addirittura al 1780 e vengono dal Serassi di Bergamo.
Ecco perché fa ancor più soffrire l’idea che, dopo un restauro a modo nel 1916, poco prima del Nuovo Millennio un ‘artigiano’ abbia messo mano proprio alle grandi canne dipingendole di grigio e rovinando un capolavoro inestimabile. Ma niente paura, si tornerà indietro nel tempo: «La complessità e delicatezza del lavoro sta proprio qui – spiega infatti Cremonesi –, vale a dire nel ripristino delle modifiche novecentesche nella loro forma originale. Dovremo procedere a una vera e propria ricostruzione, rispettando ogni dettaglio».
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