L'ANALISI
30 Giugno 2024 - 05:20
Il modello è quella che potremmo definire l'«operazione Monteverdi festival». Tre milioni di euro in tre anni destinati al territorio per sostenere e portare ai massimi livelli una delle sue perle più preziose, culturalmente parlando. Un gioiello capace di rilanciare il brand ‘Made in Cremona’ nel mondo e per conseguenza di portare in città un turismo colto, quindi ad alta capacità di spesa. È ancora fresca (23 maggio) la notizia che il Festival ha preso la ‘patente’ di manifestazione di «assoluto prestigio internazionale».
Un grande risultato ottenuto grazie a un forte impegno bipartisan. L’iter legislativo era stato avviato nell'aprile dello scorso anno con il disegno di legge firmato dai senatori cremonesi Renato Ancorotti di Fratelli d’Italia e Carlo Cottarelli (Pd, poi dimissionario) e dalla sua allora compagna di formazione Simona Malpezzi. Una legge poi sostenuta in Aula praticamente da tutti i partiti. Un lavoro di squadra lodevolmente portato avanti per il bene comune.
Lasciati alle spalle i veleni della campagna elettorale e fatte salve le ovvie e irrinunciabili differenze tra i diversi schieramenti, sui grandi temi dalla cui evoluzione dipende il futuro del territorio, quello è il modello al quale si potrebbero ispirare centrosinistra e centrodestra nel prossimo quinquennio. Con la consapevolezza che da soli non si va da nessuna parte. La domanda è una sola: sono pronti vincitori e vinti ad accettare la scommessa? A trovare, come proposto all’indomani del successo di Andrea Virgilio, da Luciano Pizzetti ad affrontare «sfide complessive per le quali serve che tutto il territorio parli a una sola voce al di là del colore politico». Una capacità decisamente mancata in questi anni.
E infatti si è dovuta registrare l’ irrilevanza a livello regionale (nessun cremonese nella squadra del presidente Attilio Fontana) e nazionale (lo stesso dicasi per quella della presidente del consiglio, Giorgia Meloni). Le partite sul tavolo sono importanti, strategiche per il futuro, a cominciare dalle infrastrutture.
Torniamo alla domanda: sono pronti i due schieramenti? Al momento sono entrambi alle prese con questioni interne. Sopra tutte le quali vola come un avvoltoio il dato del fortissimo astensionismo, che a Cremona ha addirittura per la prima volta superato il già sconfortante dato nazionale e che rappresenta un chiaro segnale di allarme: la città è spaccata in due, il Palazzo è avvertito come lontano dalla gente, la voglia di partecipare alle decisioni è in picchiata. Recuperare l’attenzione dei cittadini elettori è una delle priorità.
Il centrosinistra è alle prese con due questioni: la formazione della giunta Virgilio e la riflessione aperta dalle dimissioni all’indomani del voto da Vittore Soldo, segretario provinciale del Pd, socio di maggioranza della coalizione che ha portato alla pur risicata vittoria.
Il centrodestra, o per meglio dire Fratelli d’Italia, il partito che ne è stata la forza trainante, si lecca le ferite per una sconfitta probabilmente inaspettata rimediata al fotofinish e per questo ancora più dolorosa. Il confronto interno sta assumendo toni aspri, da resa dei conti. Dalla conclusione di questo percorso si potrà capire se la classe dirigente del primo partito in città e provincia sarà all’altezza della sfida. Conflitti intestini che rischiano di paralizzarne l’attività e offuscarne l’immagine e la credibilità.
Oltre alla debacle di Cremona, sul tavolo del confronto interno c’è anche l’assenza di Fdi nel nuovo consiglio comunale di Casalmaggiore, terza città della provincia, e i mancati successi in alcuni comuni sui quali puntava. Fa ben sperare, sempre in vista di quel dichiarato obiettivo «bene comune», l’affermazione di Alessandro Portesani fatta a caldo dopo il ko: «Saremo collaborativi con la futura giunta cercando di orientarla verso quel cambiamento che la città ha chiesto a gran voce alle urne».
Un’apertura, a patto che non restino parole di circostanza. Dall’altra parte, nel centrosinistra, si lavora alla formazione della giunta guidata da Andrea Virgilio che sarà formata da nove assessori più lo stesso sindaco. E ci si interroga sul progressivo calo di consensi registrato negli ultimi anni.
«Molte cose non sono andate bene e a guardare i numeri si vede che c’è molto su cui lavorare: per come la vedo io bisogna ripensare completamente il campo progressista partendo dal Partito Democratico», ha detto Soldo motivando il passo indietro.
Il Pd può cominciare a dare segnali in questo senso già nella fase della formazione della squadra di Virgilio. Se da un lato è il, come detto, socio di riferimento dell’alleanza, dall’altro, non lanci un assalto alla diligenza presentandosi al sindaco, che pure è Pd, con il pallottoliere per rivendicare assessori in percentuale alla propria forza elettorale. In questa fase risulta più importante dedicarsi al recupero del rapporto con gli elettori, a ricostruire una presenza nei quartieri, tornare a fare proposte non solo a essere partito di governo della città. Più partito di strada e meno di governo. Aprirsi alla società civile è compito del sindaco eletto, nel nome di un rinnovamento più volte dichiarato.
A Virgilio le formazioni che lo sostengono, non il solo Pd, dovrebbero offrire rose di nomi di assessori con precise competenze, lasciando a lui, e solo a lui, l’onere delle scelte finali. Fatte salve le rispettive identità e nel rispetto delle differenze dovute ai ruoli di maggioranza e opposizione (averne una forte propositiva e molto presente è salutare anche per chi governa) nel Salone dei Quadri, quei 192 voti di differenza sono una sorta di ultimatum arrivato dagli elettori a centrosinistra e centrodestra: è l’ora del dialogo sui grandi temi. Avendo come faro proprio l’«operazione Monteverdi festival».
Primo banco di prova di questo possibile dialogo il rinnovo della presidenza dell’Amministrazione provinciale, che si terrà a settembre. I due schieramenti e gli amministratori civici dovranno confrontarsi per dare un governo forte che sappia portare a sintesi le necessità del territorio. L’inciucio è ben altra cosa.
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