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IL PUNTO

Io non voto ma critico: l’equazione non vale più

Lo schieramento vincitore si conosce già: come regolarmente avviene dal 2013, quello dell'astensionismo è costantemente il primo ‘partito’ d’Italia. Ma non recandosi alle urne si 'perde', moralmente, un diritto importantissimo: quello di criticare

Paolo Gualandris

Email:

pgualandris@laprovinciacr.it

02 Giugno 2024 - 05:30

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Quelli in arrivo sono gli ultimi cinque giorni prima dell’apertura delle urne elettorali. Centoventi ore ancora a disposizione di ogni cittadino per decidere a chi dare fiducia per il rinnovo del Parlamento Europeo e, per quanto riguarda la provincia di Cremona, delle amministrazioni di 86 Comuni.  In testa quello capoluogo, con sei candidati sindaco in competizione, e di Casalmaggiore con quattro aspiranti primo cittadino.

Comunque vada, lo schieramento vincitore si conosce già: come regolarmente avviene a partire dal 2013, quello del non voto è costantemente il primo ‘partito’ d’Italia. Una crescita impetuosa la sua.

A partire dalle elezioni del 1979 l’affluenza alle consultazioni parlamentari ha subito un progressivo e quasi continuo calo che l’ha portata dal 93,4 per cento del 1976 al 63,8 del 2022 (il dato è della Camera dei deputati).

Al di là della retorica sul diritto-dovere definito dal comma 2 dell’Articolo 48 della Costituzione italiana (‘Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico’) e della considerazione storica che con la lotta al nazifascismo ci sono stati migliaia di donne e uomini che hanno dato la vita durante la Resistenza per arrivare a garantire quel diritto dovere (concetti che è bene non scordare mai), forse vale la pena di fare un ragionamento prosaicamente meno alto, ma sicuramente molto concreto: rinunciando a contribuire alla scelta di quale candidato fare sedere nel Palazzo sulla poltrona di chi decide, si perde un diritto importantissimo: quello di criticare.

Lo si perde soltanto dal punto di vista morale, s’intende. Perché, sempre grazie alla guerra di Liberazione e ai suoi eroi-martiri, la possibilità di dire la propria resta garantita sempre e comunque.

Il sillogismo è semplice: non scelgo, lascio che siano altri a farlo, ma mi riservo il diritto di sparare ad alzo zero (questo succede, per esempio, sui social) indignandomi quando chi è stato eletto per decidere mette poi effettivamente in campo le proprie scelte. Andare a votare per l’amministrazione della comunità in cui si vive significa scegliere i rappresentanti che definiranno le politiche pubbliche dei territori in cui vivono. Banalmente, se la strada in cui vivo deve diventare senso unico, se nell’area libera vicino a casa mia sorgerà un palazzo oppure troverà posto un giardino, dove costruire una scuola o come investire nei servizi essenziali, come organizzare la raccolta dei rifiuti. Scelte che incidono sulla vita di tutti i giorni, insomma. L’elenco potrebbe essere infinito.

Dalle piccole alle grandi questioni. «Le amministrazioni rappresentano per quei territori un punto di riferimento istituzionale forte per le comunità. Spesso l’unico, considerate anche le distanze dagli altri organismi di potere dello Stato», riassumeva Openpolis in una sua analisi. Non è vero che «tanto son tutti uguali», «uno vale l’altro»: ogni candidato ha (o dovrebbe avere) un progetto e una visione della comunità.

Durante la campagna elettorale questi modelli, anche in forte antitesi l’uno con l’altro, sono stati esposti a ogni livello, dal paesino più piccolo al comune capoluogo. È pertanto necessario che ognuno si assuma le proprie responsabilità anche al momento delle elezioni.

Se non avrò votato, con che faccia e con che autorevolezza scenderò in piazza (reale o, come accade, più spesso virtuale) se invece di quell’auspicato giardino sorgerà un detestato palazzone? Non è tanto, o non solo, questione di, peraltro doverosa, educazione civica, ma di rappresentazione reale e concreta dei propri interessi, che passa anche attraverso il segno che si metterà sulla scheda elettorale.

Un ragionamento che vale tanto per le elezioni amministrative quanto per le europee. Bruxelles e Strasburgo sono meno lontane da Cremona e dalla sua provincia di quanto non si pensi. Come viene spiegato nel sito https://elections. europa. eu/it/why-vote/, l’Europarlamento adotta leggi che riguardano tutti: grandi Paesi e piccole comunità, grandi società e giovani start-up, la sfera globale e quella locale.

La legislazione dell’Ue affronta la maggior parte delle priorità delle persone: l’ambiente, la sicurezza, la migrazione, le politiche sociali, i diritti dei consumatori, l’economia, lo Stato di diritto e molte altre ancora. Decisioni che plasmano la nostra vita quotidiana.

Oggi ogni tema di spicco a livello nazionale presenta anche una prospettiva europea, e viceversa. Il voto deciderà quali deputati al Parlamento europeo ci rappresenteranno nell’elaborazione delle nuove leggi e influenzeranno l’elezione della Commissione europea. Oggi ogni tema di spicco a livello nazionale e locale presenta anche una prospettiva europea.

Inoltre, in un mondo sempre più interconnesso, molte sfide travalicano i confini nazionali e richiedono soluzioni collettive. Il referendum sulla Brexit, la pandemia di Covid-19 e l’invasione russa dell’Ucraina hanno messo in evidenza come le questioni globali richiedano cooperazione e coordinamento internazionale.

Le previsioni indicano che l’affluenza al voto nei 27 Paesi dell’Unione dovrebbe restare, seppure di poco sopra il 50 per cento. Gli italiani storicamente hanno fatto meglio della media europea e i cremonesi si sono sempre dimostrati più virtuosi della percentuale italiana (68,65% contro il 54,5% nel 2019). Il fatto che vengono chiamati al voto contemporaneamente anche per le amministrative in due comuni su tre del territorio fa sperare che il trend si confermi anche questa volta. Nella speranza che quanti ancora sono indecisi se recarsi alle urne si facciano davvero la domanda iniziale: con che faccia posso criticare le scelte degli eletti se, non recandomi alle urne, ho delegato ad altri ogni responsabilità?

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