L'ANALISI
19 Marzo 2024 - 18:40
ROBECCO - «L’indagine è nata occasionalmente». Il capitano Camillo Calì oggi è comandante del Nucleo investigativo del Comando provinciale dei carabinieri. Quattro anni fa era al Nucleo operativo Radiomobile che azzoppò un vorticoso giro di auto rubate - tra il 2018 e il 2020 - cannibalizzate (smantellate) e i cui pezzi venivano rivenduti anche all’estero: Slovenia, Croazia, Ghana. Centotrentuno autovetture, 111 motori e componenti per 4 milioni di euro, 12 arresti ad aprile 2021. Sono i numeri della poderosa indagine battezzata Donkey (asino).
Calì l’ha incorniciata oggi al processo nei confronti della famiglia Taino — il padre Paolo, i figli Filippo e Pietro — accusati di associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione e al riciclaggio in concorso con tre coimputati, di cui un autista e un meccanico. Il primo figlio di Taino, Aldo, e altri indagati hanno già patteggiato in udienza preliminare. Stralciata la posizione di Roberto Taino, fratello di Paolo: competente è Brescia.
L’indagine. Il caso vuole che la sera del 16 gennaio 2020 il tecnico di un’azienda milanese stia cercando una Fiat Panda rubata alla ditta. Sull’auto è montata la radiofrequenza: l’antifurto emette un segnale che conduce il tecnico a Gadesco Pieve Delmona, davanti alla Nuova Autodemolizioni, una delle società di Taino. Nonostante la Panda sia già ridotta a un cartoccio, emette il segnale. In azione entrano i carabinieri. C’è un uomo di fiducia di Paolo Taino. Spiega che quella Panda a Gadesco è entrata due giorni prima per la demolizione, ma nel registro non compare. Arriva Taino padre.
Calì lo conosce «per una precedente indagine». «Come si comporta?» domanda il pm Francesco Messina. «Quando arriva, si capisce che era lui a gestire tutto, il personale, la segretaria. Nel piazzale lui dava gli ordini. Il figlio Aldo si era un po’ tirato indietro». La Fiat Panda viene recuperata e sequestrata. Si risale a chi l’ha rubata, scatta la denuncia per ricettazione. Si chiude il cerchio, anzi no. Perché chi indaga fiuta che dietro c’è qualcosa di grosso.
Inizia l’attività di indagine: intercettazioni, pedinamenti. «Le intercettazioni ci danno lo spaccato di una attività delinquenziale sui furti», prosegue Calì. Nei mesi di indagine coordinata dal pm Messina, i carabinieri ricostruiscono lo scacchiere delle società dei Taino. E i personaggi che ruotano attorno: chi fa cosa. Dai ladri di auto, tra cui un gruppo sinti, a chi smonta, pressa, carica, commercializza.
Il raggio di azione è tra Robecco, Gadesco e Pontevico. Secondo gli investigatori, alla Padana Ricambi di Robecco entravano le auto rubate e lì venivano smontate. Alla Nuova autodemolizione di Gadesco le auto venivano pressate. Lì c’erano le scocche ed altro materiale rivenduto come ferroso. Mentre indagano, i carabinieri ascoltano al telefono il braccio destro di Taino, uno che chiacchiera. «Ci ha dato gli indizi per arrivare a un capannone di Pontevico, un palazzo fatiscente, una ex fabbrica», prosegue Calì. È l’ex Citizem.
Un tempo qui si confezionavano vestiti da uomo e da donna, poi gli affari andarono male e la società fu dichiara fallita dal Tribunale di Brescia il 7 giugno del 2011. Il fabbricato è malandato, ma ai carabinieri non sfuggono due particolari. Il primo: il lucchetto è nuovo. Il secondo. «A terra ci sono tracce di cemento come di carichi che entrano», precisa il capitano. Il capannone lo ha preso Paolo Taino. Lui dà le chiavi.
E quando gli investigatori entrano «si è aperto un mondo». Perché lì dentro, i carabinieri trovano «111 motori rubati». Che siano rubati, lo accertano da un incrocio di dati. Lì dentro, trovano due stanze piene di componenti delle auto: dal cambio freni alle plance, perfettamente ordinate e messe in scatole di plastica.
Nella ricostruzione investigativa, i pezzi di ricambio tornavano, per la vendita, alla Padana Ricambi di Robecco, o alla Epocastore di Pontevico, azienda leader a livello europeo nel settore dei ricambi per auto storiche. Oppure, venivano venduti su un sito e-commerce per ricambi dei Taino, conosciuti in tutto lo Stivale. «Un enorme flusso di persone chiamava da tutta Italia». Prossima udienza il 12 novembre dedicata agli investigatori.
Nel giorno del processo, in aula ci sono Paolo Taino e i due figli Filippo e Pietro. Per ora ascoltano gli investigatori, successivamente si difenderanno. Dopo il capitano Camillo Calì, è il turno del maresciallo capo Fulvio Colasante, all’epoca dei fatti effettivo alla sezione operativa della Compagnia di Cremona. L’inquirente racconta chirurgicamente l’indagine sui Taino. Un cognome che, secondo la difesa, paga lo scotto del «peccato originale». Per il carcere e le aule di giustizia, i fratelli Paolo e Roberto Taino c’erano già passati negli anni Novanta, inguaiati dalle auto. Nel 1992 la condanna. L’accusa: associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione di automobili. Ma da allora «Paolo Taino non ha più commesso reati», dice l’avvocato Luca Curatti.
Le carte dell’indagine raccontano di ladri di auto (i sodali dell’organizzazione criminale) professionisti con una organizzazione «quasi militare». L’individuazione dell’auto, le riunioni per studiare il piano, l’azione. Si monitoravano le abitudini del proprietario e si colpiva. «Cannibali» tecnologici, i ladri. Utilizzavano attrezzature altamente professionali. Come gli apparati per alterare i codici delle centraline elettroniche e i ‘jammer’ in grado di silenziare gli allarmi delle abitazioni, disturbare le comunicazioni telefoniche dei centri in cui avveniva il colpo. Così, si ritardava o addirittura si impediva l’intervento delle forze dell’ordine.
Nelle oltre 100 pagine di ordinanza di custodia cautelare sono riversate le intercettazioni. A marzo del 2020, in pieno lockdown, Alla Nuova Autodemolizioni di Gadesco si lavorava di brutto. Il 4 marzo, uno degli indagati è al telefono con Paolo Taino. Gli conferma: «Ho fatto macchine a rudo» («aveva pressato un gran numero di veicoli»). Il 10 marzo, un indagato parla con Aldo Taino. Lo informa di «aver schiacciato le macchine giuste». A marzo, nella fucina dei Taino si lavora. Fuori, le strade sono mezze deserte: il Covid tiene tutti blindati in casa. Le forze dell’ordine controllano il rispetto delle misure restrittive. Ma c’è chi macina centinaia di chilometri indisturbato. Il 13 marzo, Filippo Taino parla con un tale Bogdan. Si accorda perché «nonostante i divieti connessi all’emergenza Covid, carichi sul camion i pezzi e li porti in Slovenia». Mission riuscita.
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