L'ANALISI
09 Marzo 2024 - 16:04
CREMA - Troppo piccola la chiesa di San Giacomo per contenere tutti coloro che, stamattina, hanno voluto rendere l’ultimo saluto a Marcello Torresani, morto nella notte tra giovedì e venerdì a soli 26 anni a causa di un tumore. Cremaschi di tutte le età, da chi lo conosceva per il suo impegno nel volontariato, a chi gli era stato a fianco negli anni della scuola e dell’università, Sino agli amici del quartiere, della Polisportiva Castelnuovo e coloro che avevano conosciuto le sue qualità negli ultimi anni, quando aveva deciso di mettersi in gioco per la sua città candidandosi nella lista civica Crema al C’entro. Molti in piedi, in diversi all’esterno, in via Matteotti. Ma non si poteva scegliere un’altra chiesa. Alla comunità parrocchiale Marcello era molto legato, così come alla comunità Papà Giovanni XXIII.
Negli anni della malattia, «praticamente un terzo della sua breve vita — ha ricordato don Michele Nufi nell’omelia — Marcello è stato investito da un ciclone che alla fine non l’ha perdonato. È entrato in pieno nell’ottica delle due vite, con la seconda che è cominciata quando si è reso conto di averne una sola. La maturità, la laurea e persino la prospettiva di un lavoro in aiuto ai più fragili. Ha dato tutto quello che aveva e poteva, perché vale la pena di vivere ogni giorno come fosse l’ultimo e se oggi uno solo dei suoi amici raccoglie questo insegnamento, il miracolo si diffonde». A fianco del parroco gli altri sacerdoti della città, che negli anni erano stati vicini e avevano conosciuto Marcello.
«Mi sono permesso di anticipare di qualche ora il paramento rosaceo che caratterizza la quarta domenica di Quaresima, la festa della gioia — ha esordito don Nufi —: vogliamo che questo sia un momento di resurrezione e di vita. Certo è difficile rendere questa una giornata di festa, ma possiamo fare in modo che sia comunque di speranza. In questo periodo celebriamo spesso la via crucis. Gesù che cade, poi si rialza, che soffre e infine muore. Non è quello che è capitato a Marcello? Ma il Signore risorge».
Nell’omelia ha aggiunto: «Abbiamo pregato e implorato la guarigione invocato il miracolo, ma non siamo stati esauditi. Molti perché hanno affollato la nostra mente, non trovando risposta nel silenzio di Dio che ci disorienta e ci fa dubitare di lui. Forse però non è in gioco il nostro rapporto con Dio, ma la nostra immagine che abbiamo di lui. È un Dio tappabuchi che aiuta solo quando ci sono da risolvere le situazioni complicate? O è un altro Dio? Uno che ha già parlato alla luce di ciò che ha fatto per noi, come ci ha detto il vangelo e ci ha mandato suo figlio per salvarci. La croce è il segno della condivisione dei nostri dolori. Dio è già vicino e lo è nel suo figlio, che offre la sua vita affinché noi la possiamo avere».
FOTO: FOTOLIVE/MASSIMO MARINONI
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