L'ANALISI
08 Febbraio 2024 - 05:30
CREMONA - Sono la punta dell’iceberg, sono il segnale di un disagio relazionale che, nei casi peggiori, sfocia in bullismo a rischio denuncia alle forze dell’ordine. A fornire uno spaccato territoriale è il lavoro della Prefettura di Cremona che ha ideato e coordina il protocollo Scuola spazio di legalità. E questo nel giorno internazionale contro il Bullismo e il cyberbullismo, due fenomeni strettamente connessi. A dare conto delle richieste di aiuto arrivate alla Prefettura è Maura Longari, referente del protocollo che vede cooperare le scuole dell’intera provincia, l’Ats Val Padana, le Asst del territorio, le forze dell’ordine e i consultori accreditati.
C’è il ragazzo che intima il compagno di aspettarlo fuori e menarlo. C’è quello che chiede il pizzo. Ci sono le chat e i vocali inviati con insulti denigratori e immagini hot. Tutti atteggiamenti a rischio di denuncia penale.
Il compito del protocollo Scuola spazio di legalità è far capire i rischi che si corrono, assumendo atteggiamenti simili e le conseguenze giuridiche, mettendo in sicurezza la vittima. Tutto questo coinvolgendo scuola e famiglie dei ragazzi: bullo e vittima.
Nell’arco di cinque anni i casi sono aumentati, con un incremento significativo nel corso della pandemia. Ciò che arriva all’attenzione della Prefettura sono situazioni in cui l’oggettiva presenza di atti a rischio di denuncia penale mettono con le spalle al muro istituzioni educanti e famiglie.
Nel 2018/2019 le consulenze richieste alla Prefettura sono state 38 in tutto di queste per 27 ragazzi sono state attivate le strategie del protocollo che portano a contattare direttamente vittima e bullo del caso, con il supporto dei consultori per trovare una strategia comune per far rientrare nella normalità atteggiamenti violenti.
Longari racconta di come una volta analizzata la problematica presentata dalla scuola e ritenuto opportuna l’attivazione del protocollo, vengano convocati – in tempi differenti – sia la vittima che il bullo, con l’obiettivo, oltre che mettere in sicurezza la vittima interrompendo di fatto le vessazioni subite, di cogliere il punto di vista dell’autore di atti di bullismo per aiutarlo a comprendere gli errori affinché non li ripeta. Senza la chiara percezione di aver commesso un errore, non modificherà il suo comportamento sia da un punto di vista relazionale, sia legale. Non basta un colloquio in Prefettura, ai ragazzi convolti e alle famiglie viene proposto un percorso di consapevolezza presso i consultori. Incontrare vittime e bulli vuol dire incontrare le loro fragilità e cercare di accompagnarli nell’affrontarle e superarle.
È negli anni a ridosso della pandemia che aumentano in maniera significativa le richieste di consulenze 62 nell’anno 2019/2020 con la presa in carico di ben 22 ragazzi. L’anno scolastico 2020/2021 segna una vera escalation con 73 richieste di consulenza e la presa in carico di 54 ragazzi. L’anno scorso le consulenze sono state 52, i ragazzi coinvolti 38, una leggera flessione ma che è lontana dai dati pre-pandemici.
Longari tiene a sottolineare che la presa in carico dei ragazzi, le strategie messe in atto per far rientrare comportamenti violenti hanno portato le famiglie delle vittime a non formalizzare la denuncia penale per atti di sopraffazione, di insulti, di vocali inviata nelle chat, ma anche di atti di estorsione: dal semplice ma pesante chiedere la merendina a richiedere soldi.
«Le scuole chiedono il nostro intervento dopo aver messo in campo le loro competenze educative, grazie anche alla costituzione dei team anti bullismo, queste problematiche sono monitorate costantemente – spiega Longari -. La fascia d’età più interessata a questo fenomeno va dalle medie inferiori al biennio delle superiori. La scuola attiva il protocollo e coinvolge la Prefettura quando la situazione è diventata ingestibile e gli atteggiamenti sfiorano gli estremi di azioni penali. Tutte le situazioni affrontate hanno evitato le denunce dei ragazzi, abbiamo agito in modo tale che i comportamenti lesivi rientrassero con azioni compensative nei confronti della vittima, ma anche del gruppo classe. Molto spesso non rileviamo la volontà di fare del male, ma l’incapacità di comprendere quanto lo scherzo diventa offesa. Soprattutto dopo la pandemia, dopo due anni chiusi in casa, i ragazzi hanno cercato di rendersi visibili e protagonisti tra i coetanei, talvolta con azioni e strumenti non rispettosi degli altri. Ma si noti anche che il termine litigare è scomparso dal vocabolario, spesso sostituito dal bullismo, non sono la stessa cosa. Forse bisognerebbe cominciare a imparare a litigare bene insieme, a gestire i conflitti, dando come adulti il buon esempio, partendo proprio dai gruppi chat di classe dei genitori».
«I casi di bullismo iniziano fin dalla prima infanzia — afferma Cinzia Cavalli, docente referente per l’Istituto Cremona 2 —. In una scuola per l’infanzia è successo che a una bimba in cortile abbiano abbassato le mutandine e l’abbiano fatta correre per il cortile. I problemi relazionali iniziano ormai da piccolissimi. È capitato anche alla primaria che un gruppo di ragazzini prendesse a colpi di ghiande un loro compagno con insulti irripetibili».
La testimonianza di Cavalli racconta di una difficoltà relazionale che interessa bambini sempre più piccoli. «Quando possiamo e il caso lo permette la scuola attiva le forze al suo interno, il suo team formato ad hoc — continua la docente —. Quando invece il caso è più complesso il punto di riferimento è la prefettura e il protocollo Scuola spazio di legalità con Maura Longari come preziosissimo punto di riferimento».
Per capire cosa stia accadendo nelle aule scolastiche basta leggere i dati del Criaf, associazione coordinata da Paola Cattenati, che è a guida della rete di scuole cittadine che coinvolge tutti i comprensivi insieme all’Einaudi, scuola capofila, il Ghisleri, Stanga, cui si aggiungono Manin, Stradivari.
«Da ottobre a novembre le consulenze sono state 300, sia attraverso incontri singoli con studenti, genitori, docenti, sia attraverso incontri con il gruppo classe per promuovere buone relazioni all’interno delle classi sempre più caratterizzate da relazioni frammentate — afferma Cattenati —. Nel periodo settembre dicembre 2022 erano state 279 con il coinvolgimento di 210 studenti, 30 genitori e 39 docenti. Questo per quanto riguarda la rete delle scuole cremonesi. In tutto avevamo attivato 23 laboratori, coinvolgendo 575 alunni».
«Nella ricerca SecorNet condotta su un campione raccolto nella bassa bresciana in collaborazione con l’Università La Sapienza abbiamo rilevato come 26,5% del campione di 1.113 studenti intervistati nella bassa bresciana dichiari di essere stato vittima di cyberbullismo almeno una volta e il 61% di aver assistito a un caso di cyberbullismo. Le forme di cyberbullismo per il 22% si concretizzano via messaggio e per il 18,4% nel vedere pubblicati materiali ritenuti offensivi o umilianti sul proprio conto. All’interno del campione poco più del 10% dichiara di aver esercitato anche un ruolo attivo nel perpetrare forme di abuso di diverso ordine e grado nei confronti di coetanei. La più frequente è la messa in circolazione di voci sul conto di altri attraverso canali social (29,2%). Il 12, 5% ha minacciato di fare del male a qualcuno tramite messaggio. Il 13% ha pubblicato commenti cattivi o offensivi su qualcuno online».
I problemi investono la sfera relazionale sia quella che si sviluppa in classe che quella, assai più insidiosa, che ha come veicoli i social, le chat di classe. «Molte richieste degli studenti sono correlate a problematiche relazionali sempre più complesse: isolamento, poche reti sociali, cyberbullismo che spesso corre sulla chat di classe e che spaventa molto i ragazzi – spiega Cattenati -. Si assiste inoltre ad un aumento dell’aggressività, sempre più spesso come modalità per essere considerati ed imporsi, evidenziando una mancanza di capacità di gestire il conflitto, aspetto che evidenzia quanto la prevalenza di relazioni tecnologiche possa impoverire l’acquisizione di competenze relazionali e pro sociali indispensabili per crescere in armonia con gli altri».
«L’attenzione è massima e la collaborazione con la Prefettura e la responsabile del protocollo Scuola Spazio di Legalità, Maura Longari pure», spiega Paola Orini, preside dell’istituto Galilei di Crema. «Attraverso la prevenzione e l’informazione e usando le opportunità offerte dalla rete istituzionale del protocollo cerchiamo di sensibilizzare i ragazzi alle buone prassi relazionali — prosegue la preside —. I casi di disagio stanno aumentando. Ci sono ragazzi che si chiudono in loro stessi, altri che faticano a gestire le relazioni fra pari, dopo la pausa pandemica. Ho chiesto ai miei docenti di vigilare e non abbassare la guardia. Esperienze sportive, ma anche le lezioni di educazione civica aiutano a costruire un senso di comunità che possa aiutare i ragazzi a condividere il tempo e gli spazi della scuola e della convivenza civile».
Claudio Venturelli, dirigente del liceo Racchetti; afferma: «Incrociando le dita non abbiamo avuto casi di bullismo. C’è uno staff, previsto per legge, che agisce sotto il coordinamento di Ada Cazzamalli, partecipiamo al sondaggio del portale Elisa e alle iniziative del protocollo Scuola spazio di legalità della Prefettura. Le difficoltà relazionali fra i ragazzi aumentano, non sempre vengono esplicitate, per questo chiedo ai miei colleghi di non abbassare mai la guardia e di non sottovalutare nemmeno i minimi segnali di disagio».
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