L'ANALISI
04 Febbraio 2024 - 18:27
CREMONA - Siamo a inizio febbraio, ma in Piazza del Comune già si respira aria di Carnevale, con i bambini in costume e genitori e nonni allegri a spasso e con i coriandoli che si intrufolano nei sanpietrini. Una splendida domenica di sole, quella di oggi, che ha visto il ritorno dei ‘Canti della Merla’ dopo venticinque anni di assenza dalle piazze cremonesi. L’ultima esecuzione cremonese di questi tradizionali canti propiziatori, infatti, risale al 1999, e fu realizzata sotto il chiostro di Cortile Federico II. L’antica tradizione riprende vita grazie all’esuberanza vitalistica e appassionata di Luigi Dossena, ricercatore e studioso libero dagli ammuffimenti accademici e slanciato verso la bellezza della tradizione.
Ci mostra i suoi disegni, un salto nel passato della storia cremonese: «A Cremona studiò Virgilio - racconta -, passò San Francesco. Questa terra è legata al mito antico e vive delle sue tradizioni». Dossena legge e declama dai suoi quadernoni colorati la storia della Merla, circondato da una gran folla di curiosi e passanti, grandi e piccini: «Questa giornata - spiega - è dedicata a Cremona, alla sua musica e alla Merla: l’unione tra il mito immortale degli antichi e i piccoli miti contadini».
Anche Ernesto Zaghen, consigliere della Libera Associazione Agricoltori Cremonesi, coglie il legame profonda tra la tradizione contadina e l’identità cremonese: «Eventi come questo servono a difendere la tradizione popolare e diffondere la storia del popolo cremonese. Dobbiamo riscoprire perché pensiamo, ci comportiamo e mangiamo in un certo modo: per queste cose dobbiamo ringraziare le ricerche di Luigi Dossena». E chiosa con un monito: «Un popolo senza cultura e senza storia non è un popolo: dobbiamo insegnare ai più giovani da dove veniamo».
Dopo i saluti di Zaghen, il saluto di Dossena e il ringraziamento all’Amministrazione Comunale cremonese nella persona dell’assessore alla Cultura, Luca Burgazzi, il Coro Armonia ha cominciato la sua marcia canora partendo da piazza Stradivari fino ad arrivare alle porte del Duomo, intonando canti popolari di buon auspicio. Sfilano negli abiti tradizionali, tra tabarri e cappelli neri per gli uomini e scialli rossi per le donne, rievocando i fasti bucolici di un mondo che non c’è più: duro, sì, ma bello. Un ultimo canto religioso, intonato all’interno del Battistero, per poi rivolgersi alla folla con una serie di canti in dialetto, accolti dal pubblico con applausi e sorrisi.
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