L'ANALISI
17 Ottobre 2023 - 05:30
Patrizia Persico, Francesco Pietrogrande, Valentina Rodini, Davide Gatti e Roberto Rocchetti
CREMONA - Travolgente, appassionata, riflessiva, determinata: dopo più di due anni dallo storico oro olimpico nel doppio pesi leggeri, Valentina Rodini è stata l’ospite d’onore della serata a cura del Lions Club Torrazzo, col presidente Francesco Pietrogrande a far gli onori di casa. Le è bastato essere semplicemente se stessa per catturare l’attenzione e gli applausi dei soci del club, che l’hanno ascoltata nel suo racconto dedicato alla sua carriera da grande campionessa, alla sua vita extra canottaggio (si è laureata da poco in Economia), alle sue aspettative. Sorridente lo è sempre stata, capace di sorprendere e di sorprendersi, come quando — parlando della mamma — le è accaduta la cosa più normale: commuoversi. «Scusate, non mi era mai capitato», ha detto rivolgendosi alla sala e a chi la stava intervistando. Tanto sport, ma non solo da parte di questa campionessa, 28enne, che punta verso Parigi 2024.
Gli ultimi colpi
«Non eravamo favorite, Federica ed io. Anzi, all’inizio l’obiettivo era non arrivare troppo distaccate dalle prime. A metà gara abbiamo cominciato a renderci conto che potevamo giocarcela. Lo so, dalla tv sembra che l’Olanda abbia avuto un problema, come se la loro barca si fosse impiantata, ma giuro che eravamo già in fase di sorpasso. Gli ultimi cinque colpi sono stati i più duri di tutta la mia vita. Poi, dopo l’arrivo, il buio. Non mi rendevo neanche conto. Fin quando ho visto Gigi Arrigoni che esultava, come tutti gli altri. E lì ho capito. Raccontare quei momenti, quell’emozione è difficile. L’Inno è stato un sogno, non ci sono parole per descrivere quegli istanti, avevo anche sbagliato i pantaloni della tuta».
Un anno duro
«È stato bellissimo all’inizio, la grande accoglienza dopo il trionfo. C’é però poi un momento in cui bisogna togliere la medaglia dal collo e metterla in un cassetto per ricominciare. Come se si fossero spente le luci, il silenzio, la fatica, la montagna da scalare giorno per giorno e sei in fondo, ai piedi della salita, ai piedi di tutto. Ho avuto dei problemi, lo ammetto, non è stato facile, non lo è mai».
La laurea in marzo
«Nell’aula magna di Palazzo Dossetti di Reggio Emilia, ho discusso la tesi dal titolo ‘Mentalità sportiva applicata in azienda. Formazione aziendale e metodo sportivo’: è la mia laurea magistrale in Economia, corso di laurea in Management e Comunicazione d’Impresa. Avendo preso parte al programma Sport Excellence (Use), riservato a studenti e studentesse che praticano attività sportiva ad alti livelli, mi è stato rilasciato, contestualmente alla laurea, anche il diploma Supplement che certifica la duplice carriera studente-atleta. Ne sono molto orgogliosa. Del resto, mio padre me lo ha sempre detto, quasi imposto. Ho frequentato il liceo classico al Vida, poi ho dovuto scegliere una facoltà compatibile con gli impegni agonistici».
La mia città
«Ho cominciato col canottaggio da ragazzina, per caso. Devo molto al principe degli allenatori, Gigi Arrigoni. Poi, sono arrivati tutti gli altri. La mia famiglia mi ha sempre sostenuta, in tutto e per tutto. Quanto parto per i ritiri, a volte, mentre saluto mia mamma, le dico: se anche perdo, mi vuoi bene lo stesso, vero? Mi viene da piangere mentre dico questa cosa e non so neanche bene il perché, di solito non mi emoziono in pubblico».
Solo meritocrazia
«Non chiedetemi di scommesse o cose simili. Il canottaggio è un altro mondo, lontanissimo, qui vige una regola precisa, si chiama meritocrazia. Vale solo questo. Ne sento parlare, da noi al massimo si scommetterebbero caramelle, perché soldi non ne girano e se girano sono pochi. Se mi chiedete cosa ne penso, rispondo solo che non ne so niente. Basta».
Tra vent’anni
«Ora cerchiamo di arrivare a Parigi, non c’è nulla di scontato. Dopo, non so ancora cosa farò, mi piacerebbe diventare capovoga, sarebbe un’esperienza nuova, stimolante. Come peso personale, ci siamo, chissà. Del resto, il ritmo lo do io anche adesso».
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