L'ANALISI
28 Settembre 2023 - 20:03
Cristina Maggia e Giuliana Tondina
CREMONA - «Con i minori, la legge ci impone di indagare chi è la ragazza o il ragazzo che ha commesso il reato, qual è la sua storia personale, da quale contesto familiare e socio-culturale proviene. La nostra non è una giustizia buonista, ma ci preme recuperare il minore autore di reato. Il carcere è l’ultimo strumento da usare. Ai magistrati minorili servono risorse, non nuove leggi». Non il ‘decreto Caivano’ «eccessivo» per Giuliana Tondina, procuratore presso il Tribunale per i minorenni di Brescia. Non «leggi propaganda» per Cristina Maggia, presidente del Tribunale per i minorenni di Brescia e dell’Associazione italiana magistrati per i minorenni e per la famiglia, entrambe oggi in sala Puerari. L’occasione: l’incontro su ‘Adolescenze e reati: dialoghi nella comunità per accompagnare percorsi di crescita dei minori autori di reato», promosso dal settore Politiche sociali guidato dall’assessore Rosita Viola.
A margine dell’incontro, il procuratore Tondina spiega che il ‘decreto Caivano’ «è eccessivo, perché è fondato su una costruzione di pensiero che non è realistica, cioè che ci sia un’emergenza minorile di tipo criminale diffusa su tutto il territorio nazionale. Non è così. Le realtà territoriali sono tutte molto diverse. Quella del nostro distretto è assolutamente di un altro tipo».
«Basta leggere i numeri - osserva il presidente Maggia -. Se uno li confronta (sono pubblicati sul sito del ministero), si rende conto che il penale negli anni è sempre stabile. Ci sono delle piccole variazioni di anno in anno, ma non c’è questo aumento esponenziale».
C’è, invece, «una maggiore rabbia dei ragazzi, rabbia che si manifesta in agiti etero aggressivo o autolesivi, ma di questi secondi nessuno se ne preoccupa».
Per le toghe minorili, il tema vero è che «l’adulto manca. E, poi, noi siamo vecchi, stiamo continuando a proporre dei modelli di rigore che sono superati a livello mondiale. I ragazzi, tutti, anche quelli degli altri Paesi, stanno proponendo qualcosa di diverso e dobbiamo adattarci noi al mondo che cambia. Noi lavoriamo sempre molto sulla forma, invece loro hanno bisogno di sostanza».
In mattinata, la presidente Maggia era in audizione alla commissione Senato, dove si è affrontato un altro, fondamentale, aspetto: la prevenzione. «Le cose vanno intercettate presto, anche con interventi duri» come «l’allontanamento da una famiglia che è disfunzionale e non lo lasci lì il figlio. Non lo mandano a scuola, lo usano per spacciare, gli danno in mano la pistola o comunque fanno finta di non vederlo, poi, quando ha 16 anni, lo dobbiamo mettere in galera. “Ohibò, è cattivo”, ma prima ne aveva 3, 4, 5 anni e tu dov’eri stato? E tu dov’eri giudice?». Perché «anche il giudice deve avere il coraggio di fare delle scelte che poi tutti criticano, i giornalisti per primi (“Lo ha allontanato dalla famiglia”). La prevenzione è questa».
La prevenzione «è la segnalazione, l’intervento e invece cosa succede? Che fanno la riforma del processo civile (Cartabia, ndr) e ci mettono un sacco di lacci e lacciuoli per non poter fare le cose presto, perché c’è il diritto degli adulti alla difesa, al contraddittorio, c’è sempre prima il diritto degli adulti».
«Dopodiché - prosegue il procuratore Tondina — arriviamo al ‘decreto Caivano’ nel concreto: norme di difficile applicazione, alcune delle quali, a nostro parere, con dei forti problemi di incostituzionalità. Adesso vedremo se in sede di conversione potranno essere corrette le problematiche segnalate in varie sedi, in varie forme, anche con l’audizione in commissione Senato della collega. Vedremo quale sarà il testo definitivo, ma il punto centrale è che non è con il processo penale che si risolvono i problemi».
«A prescindere dal clima repressivo che non condivido - sottolinea la presidente Maggia - il tema è che si pretende di caricare di nuovo le Procure dei minori già molto scalcagnate di altri incarichi, ma mai un’iniezione di risorse. Tutto sempre a costo zero. Aumentiamo gli arresti? Tutte le carceri minorili sono strapiene e piene di problemi. Dove li mettiamo? Le comunità non ci sono, lo sappiamo benissimo». Quindi «sono le solite leggi fatte senza avere le gambe su cui camminare».
Ogni volta che legge sui giornali ‘Baby gang’, il procuratore Giuliana Tondina ‘sobbalza’. Perché «in questo territorio vengono definite baby gang i gruppi di ragazzini che usciti da scuola, scrivono sui muri “Viva questo, abbasso quell’altro”. Al di là dell’esagerazione, non ci sono nel territorio del distretto di Brescia gang, non ci sono bande di ragazzini che stanno insieme con propositi delittuosi».
Ci sono «compagnie di ragazzini, alcuni dei quali vanno a giocare all’oratorio e altri, invece, vanno in giro a fare malestri, comprese le rapine ai loro coetanei, ma strutturalmente sono questa realtà, non sono realtà criminali strutturali». E allora, «se noi le guardiamo come realtà criminali strutturali, sbagliamo il bersaglio e l’intervento». Perché «questi ragazzi, quando poi noi li vediamo uno per uno, sono bambini. Alcuni di questi hanno un quoziente intellettivo basso mai certificato, hanno preso calci alle elementari, calci alle medie. E poi uno dice: “Non va a scuola?” . Lo credo. “Non va a lavorare?”. Ma chi se lo prende».
Il nodo è che «questi ragazzi hanno bisogno di punti di riferimento, di adulti che li ascoltino e non ce li hanno, di gente che capisca dov’è il problema e intervenga dov’è il problema. Se io prendo un ragazzo che ha un difetto cognitivo e lo prendo a bastonate, non è che capisca cosa deve fare. Prende la bastonata, sarà più arrabbiato dopo e quando esce di nuovo, ne farà una peggio».
L’etichetta ‘baby gang’ è sbagliata «anche perché rappresenta il mondo dei ragazzi al mondo degli adulti come un mondo di bestie pericolose. Questo è l’altro fenomeno che io, scorrendo i giornali, vedo. Come se gli adulti, invece, non fossero delle bestie pericolose. Noi pretendiamo dai ragazzi che siano Oxford e Cambridge, quando poi gli adulti si accapigliano alla coda dell’Asl».
Quello della «aggressività diffusa è un fenomeno sociale, non possiamo pretendere che gli adolescenti siano migliori dei loro adulti, se non gli diamo degli input migliori che devono essere coltivati nel tempo. Non è che se gli dici ‘stai buono’, lui sta buono. Sta buono se vale la pena di stare buono. Se tu gli dai qualcosa di egualmente potente, ma buono, lui potrà fare una scelta e dire: “Se vivo così sono più contento che se vivo ‘cosà’”. Ma non è una cosa che si fa in due minuti se non l’hai fatta in quindici anni».
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