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LA STORIA

Giuseppe Valerio, il panettiere che diventerà prete

Il trentenne di Spinadesco domenica sera in duomo sarà diacono: «Non farò questa ordinazione da solo, ma insieme alla mia comunità»

Luca Luigi Ugaglia

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redazione@laprovinciacr.it

27 Settembre 2023 - 05:10

Giuseppe Valerio, il panettiere che diventerà prete

Giuseppe con il gruppo dei suoi familiari

SPINADESCO - Il programma di vita, Giuseppe Valerio ce l’ha riassunto sul telefonino. È la frase del suo stato di Whatsapp: ‘Semmai un Dio non ce l’hai, io ti presenterò il mio!’.

Domenica sera alle 20,30 in cattedrale a Cremona, con l’amico e compagno di studi Valerio Lazzari di Vicomoscano, diventerà diacono. L’anticamera del sacerdozio. Classe 1983, Giuseppe abita a Spinadesco da una vita e proprio all’ombra del campanile di San Martino ha maturato la scelta di farsi prete. Figlio di Salvatore e Maria, in famiglia ci sono altri due fratelli: Martina e Luigi. Da seminarista ha girato la diocesi in lungo e in largo: dalla parrocchia della Beata Vergine di Cremona a Calvatone, da Arzago d’Adda sul Bergamasco a Vescovato.

«Sono cresciuto sempre in parrocchia, sono uno dei bambini dell’oratorio di don Aldo Manfredini mentre il parroco della mia adolescenza è stato don Pietro Samarini, due modelli importantissimi che mi hanno spinto a mettermi in gioco con coraggio».

Mettersi in gioco vuol dire ascoltare una chiamata?
«La mia non è stata né una caduta da cavallo, né una vocazione nata all’improvviso, ma una decisione maturata durante il periodo in cui lavoravo all’Esselunga nel reparto panetteria, del quale sono diventato anche responsabile. Sono stati sette anni durante i quali mi sono sempre fatto tante domande, ma quella basilare, che mi ha portato anche tanta inquietudine, è stata cosa significava per me essere felice».

Dove hai trovato la risposta?
«Cominciando un lungo cammino di fede, fatto di preghiere e incontri con il rettore del seminario don Marco d’Agostino, al quale mi ha indirizzato don Pietro e nella primavera del 2017 ho capito che era lui, il Signore, che mi agitava dentro questo interrogativo e sempre lui mi ha dato la risposta: avrei trovato la felicità donandomi agli altri, facendo il prete in parrocchia in mezzo ai giovani che è quello che voglio fare, anche perché il filo conduttore della mia vocazione è stato l’oratorio».

Fare il prete è più difficile di tanti anni fa perché sono cambiate le generazioni.
«È difficile come è difficile fare il genitore, mettere al mondo i figli o fare l’insegnante, ma camminando con i giovani e ascoltandoli, ti rendi conto che dentro si portano delle grandi domande, è difficile ma secondo me più di ogni altra epoca è ancora più avvincente e provocante. Il prete oggi, ancora più del passato, deve stare nel mondo, non immerso tra i libri. Se sta in chiesa ad aspettare la gente è dura».

Le chiese si sono svuotate. Perché?
«Più della chiesa piena, dobbiamo affrontare il tema della fede e imparare a capire il perché crediamo in Dio. Una volta ci obbligavano a frequentare il catechismo, era una sorta di imposizione, ma la cosa più bella che ho sperimentato nella mia vita è credere che Gesù è davvero la risposta ad ogni tua domanda perché è quella relazione della quale non puoi fare a meno, non siamo qua per caso, ma per un amore che si incarna in Gesù. Il nostro compito è quello di far capire che questo amore che tu hai incontrato non ti fa privare di nulla e quindi non sei preoccupato di aver perso qualcosa. Quanto agli attacchi, sono il sintomo di una società in cui l’arma più facile, magari nascosta dietro alla tastiera di un pc, quindi senza comprometterci, è quella del giudizio, ma la Chiesa vera è quella fatta di persone, preti e laici che affrontano fatiche e difficoltà di ogni giorno, accettano le provocazioni del papa che invita ad essere coerenti e netti nei propri stili di vita perché il Vangelo ci dice apertamente di schierarci e di prendere posizione, non di avere il piede in due scarpe. L’ho sperimentato da vicino durante le due settimane che ho trascorso a Lourdes e alla Giornata mondiale della gioventù a Lisbona».

Genitori e amici come hanno preso la tua scelta?
«In un primo momento la più restia è stata la mamma, poi invece mi ha sostenuto, mentre il papà, pur rimanendo sorpreso, è stato sempre una spalla e anche i miei fratelli mi hanno supportato, anche se hanno pianto la prima settimana come se mi avessero perso. I miei ex colleghi di lavoro mi hanno chiesto se mi avessero fatto il lavaggio del cervello, erano molto scettici, ma oggi sono contenti».

Come stai vivendo questo appuntamento?
«In maniera molto normale, le due esperienze di Lisbona e Lourdes mi hanno confermato che il Signore chiama e mette alla prova per vie misteriose, ma ti accompagna sempre. Sono consapevole che domenica accadrà qualcosa di grande che mi richiama alla coerenza. Mi sto preparando semplicemente passando il tempo in oratorio e come ho detto alla mia famiglia e agli amici, non farò questa ordinazione da solo, ma insieme alla mia comunità».

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