L'ANALISI
07 Settembre 2023 - 05:10
CREMONA - Di vetrine spente, sui due lati della strada, se ne contano quattordici tra l’intersezione con via Milazzo e Sant’Agata, altre dieci tra Sant’Agata e San Luca. Quasi tutte impolverate e con il cartello ‘affittasi’.
Lo scenario che offre corso Garibaldi, a percorrerlo per intero - da corso Campi a viale Trento e Trieste - illustra tante cose in un solo colpo d’occhio: i segni di più crisi che si sono sovrapposte, le difficoltà del commercio e quelle, palesi in questo quadrante, di una città le cui grandezze scalari ridotte possono relegare tre le cose improbabili anche le idee imprenditoriali che avrebbero un senso. Come effetto collaterale, che si coglie al volo, l’effetto alone negativo che quelle decine di ‘luci’ spente determinano su tutto il corso.
Si è parlato a lungo della mazzata legata ai lavori che, per mesi, hanno ‘sventrato’ il corso nel 2008 e immobilizzato decine di attività. Poi del caro affitti, che ha spinto anche istituzioni e associazioni di categoria a dar vita da alcune iniziative che permettessero ai locatori una gestione dei muri a prezzi più sostenibili. Nessuna misura, però, ha cambiato lo scenario. Le ultime crisi hanno rimandato la palla nel campo dei negozianti, secondo l’avvocato Luca Curatti, presidente dell’Unione Piccoli Proprietari Immobiliari (Uppi) di Cremona, il cui studio si trova a pochi metri dal corso.
«C’è un ordine di cose su cui riflettere quando si guarda all’avvio di una attività commerciale - spiega il noto professionista -: il costo degli affitti, la conoscenza delle logiche di mercato, la qualità dei locali ed eventuali interventi da sostenere, le spese correnti. Se si parte da qui va detto che sul corso non c’è stato un incremento degli importi dei canoni di locazione. A volte si è registrato anche un calo. Temo che in questa fase - prosegue Curatti - i problemi risiedano nelle scelte di una parte di coloro che danno vita alle nuove attività commerciali. La durata dei negozi è spesso molto breve e questo fa pensare a una scarsa esperienza imprenditoriale. Non si valutano i costi, non si conosce a fondo il mercato, non si conoscono le peculiarità di una città difficile com’è Cremona da questo punto di vista. Tra l’altro, parliamo di una città che ha grandezze ridotte. Qui non accade, come nelle grandi città d’arte, dove nel centro, bene o male, i volumi di vendita si portano a casa. Da qui deriva il turn over delle attività commerciali del corso, che è davvero notevole e sotto gli occhi di ognuno.
Tutto questo ha prodotto uno scenario problematico e condotto a strascichi che vivo in prima persona in tribunale. Di fonte all’impossibilità di andare avanti - prosegue Curatti - alcuni commercianti decidono di chiudere, presentano disdetta e tutto finisce nei termini contemplati. Sempre più spesso, invece, si assiste al mancato pagamento dei canoni di locazioni e agli sfratti per morosità. Insomma, il mix tra cattiva imprenditorialità e aumento delle spese lascia il segno».
Le parole di Curatti spingono a un’ulteriore riflessione, legata, anche questa, alle crisi che hanno cambiato almeno alcuni strati del tessuto economico cremonese. L’assenza di posti di lavoro come dipendenti, nei vari settori, spinge più persone, tra quelle prive di una originaria, forte, univoca vocazione imprenditoriale, a tentare business che, alla prova dei fatti, non reggono.
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