L'ANALISI
15 Aprile 2023 - 19:46
La scrittrice Laura Mazzeri durante la presentazione del libro
CREMONA - Luglio del 2008, ospedale Niguarda di Milano. Laura «abita» il letto 24. «Il mio fegato stava finendo le sue funzioni». Dal finestrone del grande ospedale metropolitano vede gli elisoccorso che atterranno. «Non desideravo la morte di altre persone, ma il trapianto sì. Stare in questo paradosso è difficile, il paradosso della mia vita legata alla morte di un essere umano mi ammutolisce».
Mercoledì 22 aprile del 2009 «è una data incisa per sempre nella cicatrice curva che attraversa la mia pancia». Laura riceve il fegato. Da allora, ogni 21 aprile, data della morte cerebrale del suo donatore, Laura Mazzeri, cremonese di nascita, milanese di adozione, porta a spasso per Milano il Giovane Cavaliere. ‘Giovane’, perché di chi le ha ridato la vita, sa solo che era, appunto, giovane. «Porto in giro la sua parte vitale per vedere cose belle, come la Pietà di Michelangelo, le chiese sui navigli, le strade che da piazza Duomo arrivano a Brera».
E lo tratta bene il fegato «che per i medici era ottimo, per me era molto altro. È una grande responsabilità. Il mio fegato deve diventare vecchissimo: onorare il donatore significa averne rispetto, prendersi cura dell’organo, avere uno stile di vita adeguato - non bevo, non fumo, ci si nutre bene — e stando aderenti alle cure e ai farmaci che continuo a prendere. È una compagnia vitale importantissima. Per me è la fonte della vita. E, quindi, la mia vita non può essere stupida, buttata via. La mia vita deve avere un senso. Essere vivi è un privilegio, esserlo dopo un trapianto è un privilegio doppio».
‘Tra due vite, l’attesa, il trapianto, il ritorno. Una storia vera’. La sua storia, Mazzeri l’ha narrata nel libro (edito da Giunti): 187 pagine intime, potentissime, perché c’è un primo e un dopo il trapianto: il dolore e la rinascita. Commozione, oggi in sala Puerari, dove l’autrice si racconta, dialogando con Stefania Mattioli, addetta stampa di Asst Cremona, organizzatrice e moderatrice del convegno ‘Tra due vite, una stella. Il racconto di pazienti, familiari e sanitari’. L’occasione: la Giornata Nazionale per la donazione di organi con l’Asst di Cremona, prima in Italia e in Lombardia, a ricevere il premio Stella Fondazione Trapianto onlus.
«Il trapianto fa parte della mia storia e raccontare è un’autocura — afferma Mezzeri —. Ogni volta che parlo di questo, dentro di me si manifesta il senso di pacificazione per una vicenda tormentata e difficile. Incontrare i parenti di chi, in momenti diversi, ha vissuto l’esperienza della donazione dentro il lutto, assume un significato profondo per me». Purtroppo, accade di morire. «Donare gli organi — dice Mazzieri — la vedo come una scelta naturale, avviene in natura. Più aumenta la cultura della donazione, più può essere sentito come un gesto naturalissimo. Se questa morte può essere una talea per altre vite, è una cosa meravigliosa. Spero che molti la possano vedere così». Nelle parole di Mezzeri emerge, forte, anche la gratitudine ai sanitari, «persone al servizio della mia salvezza». Quei medici che, prima del trapianto, lei saluta uno ad uno e ai quali, entrando in sala operatoria, augura «buon lavoro».
Dolore e tempesta, morte e rinascita. Storie di destini che si incrociano. Commozione in sala Puerari quando parla Franca Piazzi, mamma di Matteo, morto nel 2018. Aveva appena 20 anni. Matteo è stato il primo caso di prelievo di polmoni a cuore fermo eseguito al Maggiore. «Quando sostavo fuori dalla Terapia Intensiva, è passata un’amica infermiera d’infanzia. Spiegandomi dell’accaduto Mi disse. ‘Pensa al trapianto di organi, alla donazione’. Io ero lì per una speranza, per lottare per la vita di Matteo, però si è insinuato in me questo pensiero. la vita ha un ciclo di nascita e di morte. Se così fosse per Matteo, perché no. Il desiderio di lasciare una traccia di Matteo ha prevalso nel dramma. La vita di mio figlio è stata un dono dall’inizio e non può finire. La donazione è importante nel momento in cui si dà sfogo all’umanità. Donare gli organi significa dare ad altre persone la possibilità di stare bene, di alleviare le sofferenze e continuare ad essere. Per chi resta, un momento di gioia dentro un dolore immenso».
Un dolore che Gianluca D’Amato, figlio di Graziella, infermiera di Neurologia scomparsa a gennaio. «La mia mamma ha sempre espresso il desiderio di donare gli organi. Quando è arrivato il momento, è stata una tempesta. Sono stati gli anestesisti, con delicatezza, a spiegarmi cosa stava accadendo, ad aiutarmi a capire. La notizia che i trapianti erano andati a buon fine è stata un sollievo, serenità pura. A chi riceve un organo direi di non sentirsi in colpa. L’organo che si riceve arriva da una scelta: quella di persone coraggiose che tengono alla vita».
Ad Elisa Pizzera, infermiera di coordinamento donazione e prelievo di organi e tessuti, e alle colleghe Sonia Bonoli e Olga Kouadio, è capitato «centinaia di volte di partecipare alla richiesta di donazione». Ogni storia è a sé. È «un mix di emozioni: rabbia, dolore, tristezza e, sembrerà curioso, alla fine anche gioia. Di fronte ad un tragico evento, la scelta di donare diventa un sollievo, qualcosa che aiuta a trovare un senso».
C’è un prima e un dopo il trapianto. Il dopo sono le notti in bianco. Laura Mazzeri non ha mai scritto poesie. A maggio del 2009, «durante una notte di veglia cortisonica, immobile nel letto per non aggrovigliare i numerosi drenaggi che ancora decoravano l’addome», la poesia «è arrivata da sola, tracciata su un quadernino blu». Una poesia dedicata al Giovane Cavaliere. «Poso le mie mani là dove sei tu Giovane Cavaliere. Voglio contenerti come fa una culla, una grotta, un guscio di noce… Avidamente attingo alla tua forza pura e ripercorro il fiume fin quasi alla sorgente. Là immagino il tuo. Non posso, non voglio, vedere la tua fine. Preferisco pensare di portarti a spasso giovane figlio di una vita nuova».
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