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Costretta a prostituirsi per un anno e mezzo, a processo la «mia madame»

Bridge, 26enne nigeriana venuta sul barcone in Italia in cerca di futuro ma sfruttata per il giro della prostituzione, racconta l'incubo in aula: «Poi un camper di un'associazione mi ha salvata»

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

28 Febbraio 2023 - 17:43

Costretta a prostituirsi per un anno e mezzo, a processo la «mia madame»

CREMA - «E poi un giorno è arrivato un camper di un’associazione e mi ha portato via». Fu il giorno della rinascita. Bridge è una ragazzi nigeriana, due occhioni da cerbiatto, modo di fare simpatico. Oggi ha 26 anni, è mamma di una bimba, un’altra è in arrivo. Vive a Roma con il marito in una struttura protetta. E da Roma oggi è risalita a Cremona per raccontare ai giudici un anno e mezzo di inferno - dal gennaio del 2017 all’estate del 2018 — costretta a prostituirsi sulla Paullese dalla «mia madame»: Sandra Mika, 43 anni, nigeriana, soprannominata ‘Jenny’ nel suo giro.


Accusata di sfruttamento della prostituzione, Mika oggi non era in aula (è difesa dall’avvocato Cesare Grazioli). Bridge sì. Teste del pm Davide Rocco, ha raccontato la sua toccante storia di ragazza nata in una «famiglia molto povera», la passione per lo studio e il sogno di potersi diplomare in Italia. Già nel 2014, «mia madre in Nigeria aveva incontrato una signora che cercava persone da portare in Italia per lavorare. Ma io le dissi: ‘Non mi va, sono troppo piccola’». Due anni dopo, a sua madre è arrivato la seconda proposta. Stavolta, la figlia ha accettato. Ma doveva sborsare un mucchio di soldi: ben 25 mila euro. «Prima di partire non ho dato nulla. Una volta in Italia, ho dato 6.050 euro come acconto».

L'avvocato Cesare Grazioli


Come è arrivata in Italia? «Sono partita dalla Nigeria, il primo tratto l’ho fatto in auto», poi Bridge è salita su un camion «coperto con il telo, perché non ci dovevano vedere». In Libia è saltata su un barcone approdato sulle coste siciliane. «Mi hanno portato in un campo a Partinico». Bridge ci è rimasta tre mesi. Infine, il viaggio verso la stazione di Milano Centrale in pullman. «Sono venuti a prendermi la signora e suo fratello. Mi hanno portato a Mantova. Ero contenta di lavorare, ma non sapevo quale lavoro». Lo scoprirà subito: la strada. «Genny mi ha portato vestiti trasparenti, ma erano troppo trasparenti».

Si è portata le mani al petto, mentre lo ha raccontato. Ha ripreso: «Mi ha fatto cambiare in bagno e mi ha detto: ‘Non vieni qui in Italia a dormire, ma a lavorare’. Ed io: ‘Quale lavoro?’». Da quel giorno, Bridge si è trovata sulla Paullese, un pezzo di legno per accendere il fuoco, i preservativi in borsa, il cambio d’abiti in mezzo all’erba. «Madame» le aveva dato il tariffario: «Venti, trenta euro in auto; 150, 200 in motel. Io guadagnavo 150 euro circa a notte e li davo tutti a lei, perché dovevo pagarmi il viaggio. Subito la prima sera mi aveva colpito con un bastone di legno sulle gambe, perché io dovevo dare il mio corpo non ai nigeriani».

Sulla strada, Bridge aveva incontrato altre ragazze. «Erano tutte truccate. Una mi ha detto: ‘Sei nuova?’. ‘Sì’. ‘E allora capirai, perché tutte qui arrivano per fare la baby sitter, ma fanno le prostitute’». «Madam»e le ha insegnato il mestiere. «Io dovevo salire in macchina e guardare quella che faceva con i clienti. Questa ‘pratica’, chiamiamola così, è durata due settimane, poi lei non è più venuta». Da Mantova il trasloco in un appartamento a Crema. «Questo lavoro è durato un anno e sei mesi. Poi è arrivato un camper di un’associazione...». Il 13 giugno sarà emessa la sentenza.

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