L'ANALISI
VERSO LE REGIONALI
18 Dicembre 2022 - 05:20
CREMONA - Archiviato venerdì sera il via libera della base del Movimento 5 Stelle all’intesa con il Partito Democratico, approvata secondo tradizione con voto on line — 4.866 iscritti, 3.078 a favore (il 63%) e 1.788 contro — poco prima delle 23, è stato un sabato mattina di vertici e confronti al massimo livello, e subito operativi, fra pentastellati e dem alleati nel sostegno al candidato Pierfrancesco Majorino. Al tavolo o collegati, oltre allo staff dello sfidante di Attilio Fontana (Lega) e Letizia Moratti (Terzo Polo), anche rappresentanti del territorio, a partire dal segretario provinciale Vittore Soldo per continuare con il consigliere regionale Matteo Piloni.
È già un momento decisivo, par di capire: perché va meglio definito l’accordo e, dell’accordo, limati quei dettagli che potrebbero risultare sempre più significativi nello sviluppo di un «contratto» la cui tenuta attende la prova del campo. E anche delicato: perché già ora si mostrano i nodi da sciogliere e appaiono tutt’altro che secondari, fotografia plastica di una differenza di vedute storica che, almeno su alcuni temi, non può essere del tutto accantonata nel semplice nome di una sfida da vincere.
Sono fin troppo evidenti, i temi di potenziale attrito. E non li nascondono né la prima linea dem, nè gli attivisti grillini: gli uni e gli altri, ovviamente, evitano con cura di scoprirsi del tutto, praticando la massima cautela e descrivendosi «assolutamente fiduciosi»; ma allo stesso tempo, non ignorano difficoltà che ci sono e che potrebbero anche aprire qualche crepa. Le stimano, anzi; pronti ad affrontarle. Eccoli, i punti a rischio frattura fissati nel programma: tre sui cinque cardine del patto sancito e controfirmato da Majorino, tutti sul fronte infrastrutture-ambiente.
Il primo: la realizzazione della nuova autostrada Cremona-Mantova, da tempo ritenuta «assolutamente necessaria» per lo sviluppo del territorio da larghissima parte del Pd locale e invece giudicata «assolutamente inutile» dal Movimento 5 Stelle, che l’ha osteggiata e combattuta fin dalla prima ora ritenendola «un buco anche economico», privilegiando la riqualificazione della ex statale esistente e che, adesso, ragionerebbe addirittura di un nuovo modello di riassetto, con un by pass tipo tangenziale.
Il secondo: il futuro dell’inceneritore. «È fondamentale intraprendere politiche che portino entro il 2030 al superamento degli impianti di incenerimento più obsoleti e meno performanti, come ad esempio quello di Cremona» scrivono i 5 Stelle nel documento allegato alla votazione citando proprio il termovalorizzatore locale. E il Pd cosa pensa? Fino a prova contraria, al netto delle sfumature e dell’iniziale promessa di chiusura avanzata dal sindaco Gianluca Galimberti nella sua prima campagna elettorale, successivamente superata nei fatti e anche nelle parole, non ha troppi dubbi sull’esigenza di mantenere la struttura attiva, ritenendola sufficientemente sicura dal punto di vista ambientale ed adeguatamente performante dal punto di vista dell’efficienza.
L’agricoltura, per finire: il Movimento ragiona di un futuro che pare, se non utopico e del tutto anti-economico, certamente complicatissimo da calare nella realtà lombarda in generale e in quella cremonese in particolare. Chiede, «nel caso precipitasse l’emergenza climatica», di non escludere «la riduzione della disponibilità di acqua per l’irrigazione» e di elaborare «un modello di allevamento zootecnico che preveda la sospensione del rilascio delle autorizzazioni per nuovi allevamenti intensivi e per un loro ampliamento». Auspicando una stretta anche sugli impianti a biogas. È una rivoluzione possibile per il Pd? No, o almeno non del tutto, a giudicare dai malumori che su tutti e tre i punti si stanno alzando. Ed è solo l’inizio. Di un percorso fragile?
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