L'ANALISI
19 Ottobre 2022 - 11:17
CREMONA - Ci si promette amore eterno, «finché morte non vi separi», ma in molti casi, più che la morte a far ‘scoppiare’ le coppie sono le corna. E se l’infedeltà è la principale causa di separazione o di divorzio, in Tribunale le scappatelle che mandano all’aria il matrimonio vanno provate per far addebitare la separazione a chi tradisce.
È il «nesso eziologico», per dirla in punta di diritto.
Maria (storia vera, nome di fantasia), il «nesso» lo ha provato ai giudici di Cremona. Per smascherare la doppia vita del marito, non gli ha messo alle calcagna un detective privato. È bastata una telefonata registrata. La sentenza emessa dai giudici Alessandra Marucchi (presidente), Giorgio Scarsato (relatore) e Cristina Bassi è stata pubblicata sull’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia.
Il 18 maggio del 1997 Maria e Marco si sposano e mettono su famiglia. Lui, ingegnere, ha un ottimo lavoro in una società, lei tira su i due figli. Quando i ragazzi crescono, si mette a lavorare anche lei, prima part-time, poi a tempo indeterminato. Lui, manager, ha un signor stipendio: 4.800 euro al mese (tremila al mese li versa per le esigenze familiari) più benefit e dividendi, lei ne guadagna 1.850 netti al mese. Gli stipendi finiscono sul conto corrente cointestato. La coppia si compra anche una casa con il mutuo (nel frattempo estinto), cointestata pure quella. La vita matrimoniale va avanti. La svolta — amara — arriva nell’estate del 2018, quando la moglie scopre il menage a tre. Ma scopre dell’altro: il marito ha investito dei soldi. Niente di cointestato, stavolta.
I panni sporchi si lavano in casa, la moglie costringe il coniuge a lavarli davanti ai giudici nella causa iniziata il 7 marzo del 2019.
Lei racconta che negli ultimi anni, il marito rincasava sempre più tardi. «Colpa del lavoro», si giustificava lui. Tipo sportivo, il marito. Spesso il fine settimana lasciava moglie e figli a casa ufficialmente per praticare il suo sport. Ufficiosamente, il weekend lo passava con l’amante. Vent’anni di matrimonio, più i dieci di fidanzamento, non si buttano alle ortiche. La moglie, donna religiosa, soffre, si addolora.
Nel luglio del 2018, tra liti e dissapori, lei lo mette alle strette. Registra una telefonata. L’audio trascritto lo ha poi prodotto nella causa di separazione, i giudici l’hanno riversato nella motivazione della sentenza. La telefonata. «Cioè questo mi stai chiedendo? Di andare avanti con un matrimonio di facciata, dove noi facciamo la commedia che andiamo d’accordo, va tutto bene, tu però intanto esci con quella lì? Da quando è venuta fuori questa storia, non è che tu hai detto: ‘Oddio, ho sbagliato, mi pento, guarda voglio tornare indietro’».
Lui non fa una piega: non nega, non spergiura. Tace. Salvo poi cospargersi il capo di cenere davanti ai giudici. «Sì, la mia relazione perdurava da 5 anni». Ma minimizza: «La vedevo (l’amante, ndr) a volte, di tanto in tanto. Non ricordo i dettagli».
«A fronte di questo robusto quadro probatorio di una sua relazione extraconiugale durata 5 anni – è scritto nella motivazione della sentenza — il marito non ha dedotto alcuna prova per dimostrare, come era suo onere, che nel 2013, quando iniziò la sua relazione, il suo matrimonio fosse in una condizione di crisi irreversibile».
Non c’è causa di separazione senza battaglia sui soldi.
Il marito sottace dettagli sul suo patrimonio. Produce le dichiarazioni dei redditi, ma «omette di chiarire l’entità del propri investimenti» per poi fornire ai giudici «limitatissime informazioni al riguardo», dichiarando di aver fatto investimenti per 30 mila euro. Ne aveva fatti per 400 mila. Lo ha scoperto la commercialista-consulente ingaggiata dalle toghe, che ha ricostruito il suo patrimonio da circa 500 mila euro: metà è il valore dell’ex casa coniugale, poi ci sono le motociclette, i soldi investiti in un fondo, quelli investiti in titoli e c’è pure un libretto di risparmio. Tra l’altro, il marito non deve nemmeno preoccuparsi di pagare un affitto per la casa in cui ha traslocato dopo aver lasciato il tetto coniugale perché l’appartamento è di proprietà di sua madre.
Il patrimonio della moglie è inferiore: metà della casa coniugale, 30 mila euro sul libretto di risparmio e 45 mila euro che, nel frattempo, lei ha prelevato dal conto cointestato.
Voce alimenti: il marito infedele deve versare ogni mese alla moglie 250 euro, 700 a ciascuno dei figli.
A Mario la causa di separazione costerà un sacco di soldi. Il Tribunale lo ha condannato a rifondere le spese di lite a favore dell’ex moglie: 2.025 euro per la fase di studio, 1.349 per la fase introduttiva, 3.560 per la fase di trattazione, 3.409 per la fase decisoria. Oltre 10 mila euro più accessori di legge e spese forfettarie nella misura del 15% e 126,50 euro per esborsi.
Non è finita. Gli è costato anche il bluff sull’entità del suo patrimonio. I giudici non gliel’hanno perdonato, condannandolo a pagare le spese liquidate al detective dei conti, la commercialista.
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