L'ANALISI
23 Agosto 2022 - 05:10
Massimo Boffini e le Molinette di Torino
SAN BASSANO - Il suo lavoro consiste nel salvare vite «donando» cuori nuovi ai suoi pazienti. E nei giorni scorsi è riuscito in un vero e proprio miracolo, sostituendo nel corso di un intervento della durata di 12 ore filate non solo il muscolo cardiaco ma anche entrambi i polmoni a una 19enne altrimenti condannata. Lui si chiama Massimo Boffini ed è un cardiochirurgo di fama internazionale. Il suo ospedale le Molinette di Torino ma la sua casa è una sola, dove ha vissuto e lasciato il cuore: «Nessun posto per me è come la mia San Bassano. Ogni volta che ci torno ne sono entusiasta. Dicono che più ci si allontani dalle origini e più le radici si facciano profonde. Il Piemonte mi ha adottato ma io sono orgogliosamente Cremonese».
A San Bassano, lasciato ormai da decenni, il suo nome è un’istituzione. E non per nostalgia: sono tanti i concittadini che, nel corso degli anni, hanno scelto di affidare, letteralmente, un cuore malandato alle sue mani fine. Sempre con successo. Ma tra le tante straordinarie imprese compiute in sala operatoria dal medico cremonese ce n’è una che brilla ancora di più. Tutto è accaduto nei giorni scorsi. Aurora, una 19enne affetta da una rarissima malattia, ha bisogno di un cuore e di due polmoni. Se non li avrà, purtroppo, il finale della sua breve storia sarà già scritto.
Ipertensione polmonare primitiva: questo il nome della rarissima patologia di cui soffriva Aurora, che le provocava la disfunzione contemporanea del cuore a causa delle elevate pressioni nei vasi polmonari.
A fine maggio le prime avvisaglie: la mancanza di fiato, la stanchezza che arriva subito, e gonfiori alle gambe. I medici in ospedale si accorgono che la situazione è molto seria: il suo cuore è molto affaticato e si sta per fermare. Le condizioni di salute precipitano rapidamente: prima l’Ecmo e la ventilazione meccanica, da cui non poteva più staccarsi, poi una terapia farmacologica specifica.
Ma gli effetti sulla giovane, ricoverata al Policlinico di Bari, non si vedono. Ecco che si fa strada l’unica opzione terapeutica rimasta: il trapianto in blocco del cuore e dei polmoni. Con un volo su un C-130 dell’Aeronautica Militare viene portata al Centro Trapianti Cuore-Polmone delle Molinette, da dove parte la richiesta in urgenza nazionale dei tre organi.
Dopo 5 giorni la chiamata più attesa: il Centro Regionale Trapianti propone un donatore. Inizia la corsa contro il tempo, l’équipe prelievo vola verso Trieste per prelevare il blocco cuore-polmoni. La ragazza, ricoverata in Cardiorianimazione, è sottoposta al lungo intervento affidato ai professori Mauro Rinaldi e Massimo Boffini, delle Molinette, con l’aiuto degli anestesisti Antonio Toscano e Federico Canavosio. Completate le suture, il cuore ed i polmoni nuovi iniziano subito a funzionare, e la paziente riesce ad essere svezzata dall’Ecmo.
Le condizioni cliniche migliorano, e la giovane paziente inizia nuovamente a respirare da sola.
Asciugatosi il sudore dalla fronte, il cardiochirurgo di San Bassano ripercorre quelle ore interminabili: «Ho provato sensazioni davvero profonde. Ma il tutto non comincia, come si potrebbe pensare, quando si entra in sala operatoria. Molto prima, in realtà».
Prima di imbracciare i ferri il confronto coi genitori: «La segnalazione dei donatori è avvenuta nel tardo pomeriggio. Nella sera ci si prepara ad operare. Ricordo che quando ho parlato con la mamma e il papà di Aurora erano le tre di notte. Un momento delicatissimo per loro ma molto complesso anche per me. Sono papà di tre bambini, d’altronde, ed è stato impossibile non mettermi nei loro panni. Nonostante questo, ovviamente, sono stato chiaro sin da subito. Li ho informati della possibilità, obbligata in realtà, di procedere con l’intervento ma non ho nascosto si trattasse di una procedura molto complessa, anche in virtù delle condizioni cliniche della figlia, e per questo non priva di rischi».
Un turbine di emozioni, dalla paura alla gioia, dall’ansia alla speranza che improvvisamente scompaiono. Perché devono scomparire. Perché i veri professionisti, quando vogliono salvare una vita, non possono permettersi il lusso di distrarsi: «Lo ammetto, non sempre è facile estraniarsi in modo completo ma dobbiamo cercare di farlo in tutti i modi. La componente umana, sentimentale, emozionale, che è certamente molto importante nel nostro lavoro, in quel momento dev’essere messa da parte e lasciar spazio alla concentrazione, all’attenzione ai dettagli. Nelle 12 ore trascorse in sala ci siamo concentrati sugli aspetti tecnici. Con i colleghi, ormai, siamo piuttosto abituati a prendere decisioni complesse in breve tempo e a focalizzarci sulla priorità assoluta, salvare il paziente». E così si è salvata Aurora.
E tolto il camice? Boffini torna a casa, percorrendo quasi 100 chilometri. Sì, perché casa sua sta a Cuneo e non a Torino. O meglio, precisa, la sua abitazione si trova a Cuneo, perché la vera casa è un’altra. Quella dove ci sono i vecchi amici, i parenti, gli affetti di un tempo: «Devo tornare a San Bassano almeno un paio di volte all’anno. Oggi la amo molto più di prima perché il tempo, forse anche la lontananza obbligata, ti portano a vedere bellezze che prima coglievi meno. E, infatti, non mi sono mai sentito tanto italiano come quando lavoravo in Inghilterra. Oggi, che dovrei essere piemontese, rivendico orgogliosamente le mie origini. Sono cremonese e sanbassanese».
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