L'ANALISI
12 Aprile 2022 - 08:35
CREMONA - Povera lingua italiana, maltratta nelle chat: ‘ti voglio bene’ è stato sostituito con ‘tvb’. ‘ comunque’ è diventato ‘cmq’, ‘perché’ ‘xché’. Ma un conto sono le chat, un conto è un atto giudiziario, quale è il capo di imputazione contestato a quattro imputati. Di che cosa? Chi lo ha steso, ha scritto «x» in luogo di «per». Se ne è accorto il giudice che, senza farlo mettere a verbale, in aula ha fatto notare che il linguaggio social non è consono ad un atto giudiziario. Il processo. È il caso di una telefonino strappato ad una vittima invalida al cento per cento e di minacce sia a lei sia all’amico, il 31 dicembre del 2017 a Cremona.
Sotto accusa ci sono Amine Rihai, tunisino di 35 anni, Salvatore De Santis, calabrese di 34 anni, Andrea Dioli, cremonese anch’egli di 34 anni, e Khalid Bassali, marocchino di 37 anni (quest’ultimo è difeso dall’avvocato Raffaella Parisi). Ed ecco la formulazione dell’imputazione costata il rimbrotto della toga. Imputati: «x Rihai, del reato di cui agli articoli... perché al fine di trarne profitto, si impossessava di un telefono, sottraendolo alla vittima, strappandoglielo di mano, con l’aggravante di averlo commesso, approfittando di persona invalida al 100% con disturbi mentali, tale da ostacolarne la pubblica o privata difesa»; «x tutti, del reato di minaccia». In particolare, De Santis avrebbe minacciato la vittima ed un amico. «Se non fai quello che gli altre ti dicono, abusiamo sessualmente di voi», Rhai, brandendo una stampella, avrebbe minacciato l’amico della vittima di spezzargli le gambe. E c’è l’aggravante di aver commesso il fatto con la stampella, un’arma impropria, e di aver profittato di una una invalida al 100%».
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