L'ANALISI
09 Marzo 2022 - 05:10
Monsignor Follo con Papa Francesco
CREMONA - Originario di Pandino, 75 anni, ordinato sacerdote nel 1970, licenziato in teologia e con un dottorato di ricerca in filosofia, accademico e autore di libri; per circa quarant’anni, dal 1983 a pochi giorni fa, al servizio della Santa Sede: fino al 2002 nella Segreteria di Stato di Sua Santità; poi, dal luglio 2002 come osservatore permanente all’Unesco, a Parigi. Ha conosciuto da vicino e lavorato per tre Papi: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco.
Da poco più di una settimana monsignor Francesco Follo è rientrato in diocesi. Abita nel Seminario di via Milano, dove prosegue alcune sue ricerche concernenti l’unità del sapere e la pluralità dei saperi, il dialogo e l’educazione interculturale e un’iniziativa per far conoscere Santa Teresa del Bambin Gesù come Dottore della Chiesa, che l’Unesco intende onorare come donna intellettuale e ricercatrice in occasione del 150° anniversario della sua nascita. Monsignor Follo non vi conduce un’esistenza isolata perché è inserito in una comunità di sacerdoti, con i quali condivide la vita materiale e spirituale.
Monsignor Follo, lei è appena tornato a Cremona dopo una vita, si può dire, nella diplomazia vaticana.
«Sì. Sono rimasto a Parigi fino a un paio di settimane fa per passare le consegne al mio successore, che viene dal Benin. Quello della diplomazia vaticana è un mondo non complicato ma complesso.
La Santa Sede ha rappresentanza nelle organizzazioni internazionali come l’Onu, e nelle agenzie ad essa collegate, una delle quali è l’Unesco per l’educazione, la scienza e la cultura. Siamo presenti come osservatori e non come membri per non essere nella mischia politica nella quale ogni Stato ha i propri alleati, mentre noi siamo alleati di tutti. Quando si dice Vaticano si intendono tre cose: la Chiesa cattolica, lo Stato della Città del Vaticano e la Santa Sede. L’importante è che noi rappresentiamo la Chiesa cattolica nelle istanze internazionali; lo Stato vaticano è funzionale al ministero del Papa come Pastore della Chiesa universale, mentre la Santa Sede è soggetto sovrano di diritto internazionale, che collabora con il Santo Padre, governo centrale della Chiesa cattolica, sia ecclesiastico che politico, vale a dire per le relazioni con gli Stati (al momento con 184 Stati). Quando il Papa era ad Avignone non c’era il Vaticano ma c’era la Santa Sede. Lo Stato pontificio è stato una realtà storica nata e sviluppatasi lunghi i secoli.
Con i Patti lateranensi la questione romana si è risolta dando al Papa e, di conseguenza, alla Santa Sede uno piccolo Stato funzionale, che garantisce la libertà di azione e di espressione nel mondo intero assicurando una indipendenza ed un irraggiamento globale non legato alle vicende italiane e/o europee. Ma la cittadinanza vaticana ce l’hanno si è no 400-500 persone, mentre coloro che lavorano in Vaticano sono circa 5.000. La ‘forza’ della Santa Sede e del Papa sta di fatto nel rappresentare 1 miliardo e 300 milioni di cattolici nel mondo. Questi fedeli, che riconoscono il Papa come autorità suprema nella carità e nella verità, danno peso e rilievo anche alla Santa Sede. E, per quanto concerne l’Unesco, anche 1.700 Università cattoliche e 210.000 scuole superiori diffuse nei cinque continenti».
Prima di andare all’Unesco ha lavorato in Segreteria di Stato.
«Ho cominciato nel 1983 con Giovanni Paolo II nella sezione prima (Affari generali) della Segreteria di Stato che si occupa fra l’altro della redazione dei testi del Papa, dei viaggi del Papa e di molteplici affari afferenti la Chiesa. È una sorta di ‘ministero degli Interni’ che tiene le relazioni in particolare con le Chiese locali. La Chiesa è rappresentata nel suo interno ed anche nel suo esterno dalla Santa Sede, soggetto sovrano di diritto internazionale. In essa ci sono la Segreteria di Stato, le Congregazioni e i Dicasteri che sono strumenti che il Papa ha per governare la Chiesa. La Segreteria di Stato adesso ha tre sezioni. Non so come sarà la futura riforma. Poi ci sono le Nunziature apostoliche (ambasciate). La Santa Sede intrattiene nel mondo 184 rapporti diplomatici: le Nunziature sono un po’ di meno perché alcune coprono più Paesi. Adesso con i media quello che il Papa dice è facile conoscerlo, ma quando vuole far sapere qualcosa in un Paese il canale normale è la Nunziatura. Le Nunziature bilaterali (Stato-Santa Sede) dipendono dalla Segreteria di Stato (seconda sezione, rapporti con gli Stati) e hanno voce in capitolo anche per la selezione dei candidati all'episcopato. La terza sezione, più recente, è per il personale diplomatico pontificio. La rappresentanze della Santa Sede nel multilaterale, vale a dire presenti nel sistema della Nazioni Unite e in altre Organizzazioni governative regionali, portano avanti una collaborazione con gli Stati secondo il mandato di ciascuna. Lì si ascolta e ci si fa ascoltare portando al mondo quel ‘supplemento d’anima perché l’umanità diventi più umana’ (Henri Bergson) e sia possibile una convivenza vera nella pace».
Ci può spiegare la realtà dell'Unesco e il ruolo della Santa Sede?
«Il mondo è multilaterale e in un mondo globale ci si incontra. Nel dopoguerra rinascono organizzazioni sovranazionali, L’Onu prende il posto della Società delle Nazioni. E siccome nella mente dell’uomo nascono le guerre, è nella mente dell’uomo che occorre costruire e far crescere la pace. Dunque l’Unesco è l'agenzia intellettuale dell’Onu che favorisce cooperazione e coordinamento in questi tre ambiti: educazione, cultura e scienze. E anche un laboratorio di idee che si serve delle Università per esigenze internazionali tese a favorire un’educazione per tutti e aperta a tutte le culture; la sua governance prevede convenzioni per il riconoscimento dei diplomi universitari nel mondo, quelle per tutelare la diversità culturale e la conservazione e promozioni del patrimonio culturale mondiale (monumenti, chiese, templi, sinagoghe, ed altri edifici storici a cui è riconosciuto un valore estetico eccezionale e universale). Certo anche in questi campi gli Stati non sono disposti a rinunciare a tutta la loro sovranità, gli Stati sono ancora necessari. Quella tra sovranità e governance è una dialettica ineliminabile; occorre trovare delle modalità per comporla. Così è pure l'Unione europea e lo vediamo anche in questi giorni, tanto più è così a livello mondiale. Ovviamente, prima del Covid all’Unesco ci incontravamo in presenza e ogni ambasciatore poteva svolgere più facilmente il suo lavoro, avendo ‘fisicamente’ davanti il panorama di tutto il mondo.
Noi come Santa Sede vogliamo ascoltare quello che gli Stati dicono nel campo della cultura, dell'educazione e delle scienze, sia quelle umanistiche che quelle esatte. A nostra volta vogliamo farci ascoltare, dialogare con gli Stati e con il mondo, collaborare a un’elaborazione culturale e testimoniare una trascendenza e il contributo positivo della religione per costruire la ‘polis’ (città) perché, come avvertiva Henri De Lubac (teologo e cardinale, ndr) un mondo senza Dio si costruisce, presto o tardi, contro l’uomo. Va però ricordato che quella cattolica è l’unica religione che ha gli strumenti giuridici e gli argomenti storici per essere presente nella diplomazia e nelle sedi internazionali e nazionali, e questo perché ha una personalità giuridica e ha un capo unico riconosciuto dal mondo cattolico.
Quello della Santa Sede è il corpo diplomatico più antico del mondo, è attestato già nel 423 un legato (ambasciatore) del Papa a Costantinopoli. E anche quando, dopo il 1870, ha cessato di esistere lo Stato pontificio, la Santa Sede ha conservato le proprie rappresentanze diplomatiche e molti ambasciatori erano rimasti accreditati presso di essa».
Nel 2010 lei è intervenuto a un simposio internazionale a Teheran svolgendo una relazione intitolata ‘Avvicinare le culture per costruire la pace’. Una prospettiva ancora attuale?
«Si trattava di una Giornata mondiale di filosofia. Il pubblico era costituito per metà di donne. Il fatto che avessero il capo velato non limitò la loro partecipazione attiva all’incontro. Siamo nell’era della globalizzazione: una globalizzazione geografica, quella di Internet, fatta di mezzi e di contenuti. Ma c’è anche una globalizzazione storica da tenere in conto. Per esempio: per capire la cultura d’Italia occorre prendere atto che essa ha le sue radici che vengono dalla cultura ebraica (Gerusalemme) greca (Atene) e latina (Roma) conoscere quello che viene da Gerusalemme, da Atene e da Roma, quale il cristianesimo l’ha assunto e assimilato. Il problema dell’assimilazione culturale e del multiculturale non nasce adesso perché abbiamo Internet. Giovanni Paolo II parlava di ‘inculturazione’ del messaggio evangelico; Benedetto XVI preferiva l’espressione ‘incontro di culture’. Io direi che è necessaria una fecondazione reciproca delle culture, anche per superare una forma coloniale del nostro modo di pensare. Il cristianesimo prima che essere un messaggio è una persona: Gesù Cristo incarnato e risorto, e dunque dobbiamo elaborare il messaggio a partire da Lui e proponendo Lui come persona vivente. Anche per parlare di diritti universali dell’uomo occorre avere il concetto di persona alla quale si riconoscono diritti perché essa è un soggetto dalla dignità inalienabile. Il concetto di persona (che è onto-teologico) in Occidente è stato non di rado ridotto a individuo i cui desideri diventano diritti. In Africa i diritti umani sono uniti a quelli dei popoli e nel mondo islamico vengono messi nel contesto della Sharia. Per poter comunicare efficacemente con loro dobbiamo essere meno eurocentrici: più che esportare dobbiamo trasportare, tradurre, elaborare atteggiamenti e cultura mediante un riconoscimento reciproco. Come esempio potremmo prendere quello di una orchestra che suona una musica. I singoli strumenti devono conservare la loro identità per produrre una sinfonia. Questo vale anche per un coro in cui i cantori, restando quello che sono, cantano una polifonia.. Ecco il dialogo interculturale dovrebbe essere così. In questo modo potremmo passare dalla multiculturalità all’interculturalità, che è come un diamante le cui facce unite ne fanno la bellezza e il valore».
Dei suoi vent’anni all'Unesco ha qualche ricordo speciale?
«Siccome noi italiani non siamo nazionalisti ma campanilisti direi innanzitutto il convegno su don Primo Mazzolari organizzato a Parigi nel 2018 nell’ambito dei colloqui internazionali che si fanno ogni anno all’Unesco. Ho la soddisfazione di averlo fatto conoscere, in collaborazione con la Diocesi di Cremona e la Fondazione don Primo Mazzolari, a livello internazionale come un esempio di dialogo e di fede matura e incarnata. Una fede che si fa cultura e anche politica nel senso della costruzione della polis. Poi il mio viaggio nella Repubblica Popolare di Cina nel 2015: sono stato il primo diplomatico vaticano invitato - nel quadro delle attività dell’Unesco - in Cina per un incontro sull’educazione e all’aeroporto di Qindao ricordo un cartello con la scritta Welcome Holy See, (Benvenuta Santa Sede). Poi non posso dimenticare tutte le convenzioni regionali con diversi Paesi per il riconoscimento dei diplomi delle Università ivi comprese quelle cattoliche, fino alla Convenzione mondiale sottoscritta lo scorso 18 novembre. Con la precisazione che le nostre Università sono aperte a tutti, cattolici e non cattolici. Come quella di Gerusalemme, dove l’80 per cento degli studenti sono musulmani.
Grazie alla sua esperienza internazionale che idea si è fatto dell’invasione russa e della guerra in Ucraina che ci angosciano in questi giorni?
«Quando c’è una guerra la prima cosa da appurare è la verità. Se è coperta da opposte propagande è difficile conoscerla davvero; noi ci basiamo sulla versione occidentale, ma è bene essere cauti. Per quanto riguarda l’invasione, io ero convinto che la Russia non sarebbe arrivata a tanto».
È propaganda anche la minaccia atomica?
«Speriamo di sì... È chiaro che l’invasione va condannata perché la violenza è sempre sbagliata. Il criterio valido rimane quello enunciato da Giovanni Paolo II: opporre al diritto della forza la forza del diritto. E in questa direzione si sono mossi e si muovono papa Francesco, con la sua forte personalità, e la Santa Sede. Il Papa è andato di persona dall’ambasciatore russo accreditato presso la Santa Sede ed ha telefonato al presidente ucraino per perorare la causa della pace; il cardinale Parolin ha offerto la mediazione della Santa Sede. Purtroppo, finora, non sono stati ascoltati. È apparsa evidente in questa crisi, almeno fin qui, l’assenza di un’ Europa che non ha una politica estera comune e adesso se ne comprende il bisogno, perché finora ogni Paese dell’Ue andava per proprio conto, tradendo l’intuizione originaria dei padri fondatori che non era riducibile a quella di un mercato comune. Inoltre, sempre papa Wojtyla parlava di un’Europa dall'Atlantico agli Urali, perché non dobbiamo dimenticare che anche la Russia ha radici cristiane. Credo che la prospettiva per garantire la pace sia quella di un mondo multipolare, nel quale si possano fare accordi, nei vari Continenti, su basi regionali. Infine. Come papa Francesco ha sottolineato, lavoriamo e preghiamo per la pace e non dimentichiamo le altre guerre in Siria, Yemen e Etiopia. Inoltre, come ha ricordato pochi giorni fa Sua Eccellenza monsignor Peña Parra con i parlamentari: serve il disarmo contro il demone della guerra».
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