L'ANALISI
26 Novembre 2021 - 19:06
Guendalina Graffigna
CREMONA - La terza dose di vaccino anti-covid non sembra convincere gli italiani: uno su tre (33%) è dubbioso sulla dose booster, mentre uno su dieci si dichiara apertamente contrario e addirittura il 30% considera non necessaria la terza dose. Sono alcuni dei dati emersi dall’indagine realizzata dall’EngageMinds HUB, il Centro di ricerca dell’Università Cattolica con sede a Cremona. La ricerca è parte di un Monitor continuativo sui consumi alimentari e sull'engagement nella salute. È stata condotta su un campione di oltre 6000 italiani, rappresentativo della popolazione. «Questo 33% di italiani che ha poca o nessuna intenzione di sottoporsi alla terza dose - commenta Guendalina Graffigna, Ordinario di Psicologia della salute e direttore dell’EngageMinds HUB - deve far riflettere, perché non si tratta di no-vax, visto che si tratta di individui già regolarmente vaccinati. Inoltre, dai dati emerge che questa espressione di forte scetticismo rispetto all’ulteriore immunizzazione è un’inclinazione omogenea nella popolazione, non si riscontrano, infatti, differenze tra sesso, fasce di età, provenienza geografica e titolo di studio; un fatto non frequente in questo tipo di rilevazioni».
E non è tutto, più della metà del campione (il 54%, ma il 60% delle donne e il 49% negli uomini) indica che a questo punto, dopo aver immunizzato con due dosi molti italiani, la priorità andrebbe data alla distribuzione dei vaccini nei paesi poveri del Mondo. Inoltre, il 56% non è convinto che un’ulteriore dose possa tutelare maggiormente chi è già vaccinato. E addirittura il 30% del campione dichiara apertamente che la terza dose di siero anti-Covid-19 non sia necessaria.
«Gli individui che presentano uno stato di malessere psicologico e che percepiscono un rischio economico e di contagio - spiega l’esperta - sono maggiormente in accordo nel ritenere che la terza dose del vaccino non sia necessaria. Questo appare paradossale ma dal punto di vista psicologico è comprensibile: chi ha sofferto/sta soffrendo di più per via della pandemia appare anche psicologicamente più affaticato, stanco e meno resiliente. Si tratta probabilmente di chi ha nutrito le maggiori aspettative (irrealistiche) di trovare una soluzione definitiva e rapida per uscire dalla pandemia - aggiunge. Sono persone che nutrivano la speranza (in parte irrealistica) che i vaccini potessero essere una soluzione 'quasi magica' per uscire dalla pandemia - continua. Speranze legittime e comprensibili, ma a cui hanno fatto incautamente l'occhiolino comunicazioni troppo ottimistiche all’inizio della campagna vaccinale, che non hanno chiaramente prospettato la possibilità di un richiamo delle vaccinazioni. Insomma: da una parte aspettative troppo irrealistiche della popolazione. Dall’altra comunicazioni troppo seduttive e timorose che rappresentare sin da subito la probabilità di un richiamo avrebbe inficiato la motivazione a vaccinarci», conclude Graffigna. (ANSA)
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