L'ANALISI
19 Agosto 2021 - 12:18
CREMONA - Ha trascorso gli ultimi anni della sua vita infaticabile e avventurosa a Cremona, presso il convento dei Barnabiti di San Luca, dove si era fatto conoscere e apprezzare (fu anche una colonna del Circolo Zaccaria) ed è morto per un malore il 5 giugno del 2005 a 79 anni, padre Angelo Panigati, uno degli ultimi parroci di Kabul. Missionario milanese originario di Locate Triulzi con l’Afghanistan nel cuore, nella terra tornata sotto il tallone di ferro dei Talebani padre Panigati era sbarcato nel 1965, dopo 14 anni trascorsi a dorso di mulo per raggiungere anche i più sperduti villaggi della cordigliera andina. Unico sacerdote cattolico ammesso in tutto lo Stato, a Kabul padre Panigati arrivò con lo status di diplomatico e in qualità di titolare della parrocchia dell’ambasciata italiana. Era il punto di riferimento di tutti i cattolici presenti in Afghanistan: quasi 5.000 funzionari stranieri che il barnabita assisteva anche grazie alle sue indiscusse doti da poliglotta (parlava 14 lingue, inclusi i dialetti locali).
«In quegli anni non c’erano integralisti fanatici a Kabul. Quel Paese era una specie di paradiso, le donne studiavano ed uscivano senza burqa — aveva raccontato in una delle sue ultime interviste —. Potevo svolgere la mia attività tranquillamente, a patto di non fare proselitismo. La gente era incuriosita dalla nostra religione e vi si avvicinava con rispetto. Diversi afghani partecipavano alle nostre funzioni nella cappella dell’ambasciata. A Natale mi aiutavano ad allestire il presepe».
Poi quell’equilibrio si spezzò. Il flagello della droga, l’invasione sovietica del 1979, la resistenza che punta sugli aspetti più estremi della tradizione per rafforzare l’identità e genera il mostro dei Talebani («ma dietro la loro presa del potere ci sono interessi politici ed economici, tutto nasce dal traffico delle armi e dal mercato dell’oppio, la religione non c’entra per nulla...»). Così nel 1990 padre Angelo, rimasto a Kabul anche sotto i sovietici, deve lasciare il Paese; vola prima in Polonia, poi negli Usa, infine si ritira a Cremona. Restando uno degli ‘esperti’ in cose afghane più corteggiato dai media. Sempre affezionato alla sua gente, sempre fiducioso nel futuro di un Paese che aveva tanto amato. E per il quale - c’è da scommetterci - non ha mai smesso di pregare.
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