L'ANALISI
02 Luglio 2021 - 06:10
CREMONA - Sono solo cinque capelli, sottilissimi e quasi invisibili, protetti da un ciuffo di cotone e inseriti in un reliquiario. Ma per chi ha fede e per chiunque sia rimasto colpito dalla sua vicenda, quei capelli sono una reliquia di Carlo Acutis, studente quindicenne ucciso da una leucemia fulminante nel 2006 e proclamato beato nell’ottobre scorso. A partire dall’11 luglio, la reliquia sarà esposta nel tabernacolo della cappella del Sacro Cuore, nella navata laterale sinistra. «Ho proposto io di poter avere questa reliquia e tutti qui mi hanno appoggiato. Carlo Acutis aveva molti punti di contatto con i Barnabiti - spiega padre Giorgio Viganò, economo della comunità cremonese -. Innanzitutto era molto legato all’Eucarestia, amava dire che era la sua "autostrada per il Cielo", e sappiamo quanto sant’Antonio Maria Zaccaria, il nostro fondatore, tenesse a questo sacramento».
L’esposizione della reliquia è rivolta soprattutto ai giovani, agli adolescenti, ai ragazzi messi a dura prova dal lungo periodo di chiusure imposte dalla pandemia, e alle famiglie reduci da un periodo difficile e doloroso. Ma ha senso, oggi, venerare una reliquia? Non si corre il rischio di sconfinare nella superstizione? «Chi ha un percorso di fede equilibrato non corre questo rischio. Abbiamo bisogno di simboli, del segno tangibile di un corpo defunto che ha un potere evocativo e che offre una testimonianza forte», risponde padre Viganò.
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