L'ANALISI
19 Marzo 2021 - 10:54
CREMONA (19 marzo 2021) - Ha voluto celebrare con i paramenti bianchi la messa festiva di San Giuseppe, ieri pomeriggio in Cattedrale, il vescovo Antonio Napolioni, nel fare memoria con la preghiera delle vittime del Covid; presenti un buon numero di fedeli e, fra questi, anche l’assessore Barbara Manfredini. Una scelta di cui ha indicato subito le motivazioni, poi sviluppate nell’omelia della concelebrazione, alla quale hanno partecipato il vicario generale don Massimo Calvi, alcuni canonici e il parroco dell’unità pastorale don Antonio Bandirali. La memoria – ha detto il vescovo – si fa incontro nella comunione dei santi, e San Giuseppe, oltre che il padre putativo di Gesù, lo sposo di Maria e il custode della Santa Famiglia, è venerato dalla devozione popolare come patrono della buona morte. Il che sta a dirci che pure chi è stato dalla pandemia brutalmente strappato a questa vita non è rimasto solo, è stato accompagnato dalla carezza di Dio». Ricollegandosi, dopo le letture, al brano di San Paolo ai Romani per il quale «Dio dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che non esistono», monsignor Napolioni ha invocato «vita eterna, ricompensa, consolazione e amore» per i defunti, nel ripercorrere, insieme ai presenti, non «numeri, ma volti e storie di umanità, di famiglie, di laboriosità, di sofferenza, di fede». Nello stesso tempo ha sottolineato il bisogno dei vivi di essere aiutati «in un cammino ancora difficile, perché non siano tante le asticelle da aggiungere al bosco della memoria» alla cui inaugurazione, promossa dal Comune, aveva da poco partecipato con le autorità civili in via Cascina Corte. Il Vangelo della solennità di San Giuseppe annuncia la nascita del Salvatore e non va dimenticato che i cristiani chiamano la morte dies natalis (giorno natalizio). Il Vangelo non narra la morte di Giuseppe; ce la raccontano i Vangeli apocrifi e la devozione popolare si è fatta voce di un desiderio umanissimo poi tradotto nell’iconografia. Giuseppe morente, su un povero letto, non è solo: ha accanto la sua sposa vergine e il figlio adottivo che viene dal cielo. Per questo è patrono della buona morte oltre che della Chiesa universale. È padre come può esserlo ciascuno di noi nei confronti di figli non suoi, come quell’infermiera che è stata madre e padre nel regalare una carezza a chi moriva senza poter avere accanto i propri cari. Questo significa che «siamo ancora capaci di esprimere questa solidarietà profonda che ci lega». Il silenzio del Vangelo sulla morte di Giuseppe sta anche a significare che con la morte «si scompare nel mistero di Dio», si entra «in un’altra dimensione» e si diventa «quanto mai vicini a chi rimane nella vita terrena. Un’esperienza – ha confidato il vescovo Napolioni – che gli è sembrata tangibile quando, di recente, ha potuto mettere come sfondo del computer una bella immagine, che gli è stata inviata, dei propri genitori. Il presule ha poi fatto riferimento a un altro brano di Vangelo proposto per la festività odierna: quello di Gesù adolescente smarrito e ritrovato fra i dottori del tempio. Ne ha preso spunto per dire che il giorno della memoria non vale soltanto per i morti ma anche per i vivi: in particolare bambini, adolescenti, anziani, detenuti. Le persone che maggiormente avvertono smarrimento e solitudine. Gesù risponde a Maria e Giuseppe: «Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?». È «la sua identità più profonda, è la risposta che ci salva, che ci dice che non ce la facciamo da soli». È un appello «a ritrovare la nostra vera identità di figli dell’unico Padre». Certo il diffondersi della malattia «ci chiede prudenza ma non egoismo o prevaricazione dei più deboli», ha concluso il vescovo, nella speranza che la pandemia «ceda il passo a un mondo più fraterno».
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