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LA RIFLESSIONE
In un Paese stanco, fiaccato da nove mesi di lotta al Coronavirus e ormai insofferente alle restrizioni — comunque rese necessarie dalla seconda ondata della pandemia — l’emergenza socio educativa legata alla seconda chiusura delle scuole sembra essere sparita dall’agenda politica del Governo e, per la verità, anche delle opposizioni. Più in generale sembra che il nodo della scuola sia stato cancellato dal dibattito, come se lo stop delle lezioni in presenza di fine ottobre/inizio novembre sia stata la «soluzione» della questione. La didattica a distanza sembra essere diventata la nuova normalità. Ma non è così. Crescono le proteste degli studenti, anche in provincia di Cremona; cresce il disagio dei docenti, cresce la preoccupazione di milioni di famiglie. Cresce anche la rabbia di chi vede che poco o nulla si sta facendo per cercare di migliorare e potenziare il servizio di trasporto pubblico su gomma, i cui limiti sono la ragione vera che ha portato al lockdown delle scuole. Questo, ovviamente, in una prospettiva futura (speriamo prossima) di ripresa stabile delle lezioni in presenza. Il quadro è chiaro: il Governo vara giustamente un «piano ristori» per le attività commerciali costrette allo stop e per fronteggiare l’emergenza economica, ma del «piano ristori» per tamponare quella educativa non c’è traccia. Così non va. La Politica è impegnata su fronti decisivi, nessuno lo nega. In Parlamento è arrivata — anche se con un mese di ritardo — la Manovra economica che dovrebbe prevedere provvedimenti di rilancio dell’economia duramente provata dal lockdown nazionale della scorsa primavera e da quello light con «sfumature» regionali di queste settimane.
Il Governo, poi, è alle prese con il caso Calabria e con la nomina e le dimissioni a catena dei commissari alla Sanità, una storia che se non fosse drammatica e tragica per l’intero Paese e in modo particolare per i cittadini di quella regione sarebbe tutta da ridere, specchio di quell’Italia inefficiente e «furba» che non vorremmo più vedere. Addirittura da giorni è iniziato il «tira molla» fra Regioni e associazioni di categoria da una parte e il Governo dall’altra sul prossimo Natale, il primo (e speriamo l’ultimo) al tempo del Covid. Si ipotizzano nuove riaperture, differenti orari per le varie attività commerciali, si fanno previsioni su quante persone potranno sedere a tavola al cenone della vigilia e al pranzo del 25… Calendario alla mano e con il picco della seconda ondata della pandemia ancora lontano, questa corsa verso un Natale «normalizzato» sembra paradossale e certamente prematura al punto che il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha definito quella sul Natale «una discussione lunare». Resta il fatto che della scuola, di milioni di studenti chiusi a casa davanti a un computer e di migliaia di docenti costretti a fare lezione in aule deserte confidando in una buona connessione nessuno parla più. Anche la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina - spesso in televisione fino a qualche settimana fa - è stata parzialmente «silenziata». Se la politica latita, in difesa delle ragioni del mondo della scuola che vuole ritornare in classe con tutte le attenzioni possibili arrivano i tecnici, spesso nel mirino delle critiche. Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico (Cts), intervistato dal «Corriere della sera» mette in evidenza i rischi che, a lungo andare, possono derivare da certe decisioni: «Abbiamo davanti una maratona che non si concluderà il 25 dicembre, ma molto più avanti... C’è però un’emergenza che dobbiamo affrontare subito ed è quella delle scuole. Molti politici hanno scelto di sacrificare la scuola come segnale di efficiente reazione in risposta all’emergenza sanitaria ma per la stragrande maggioranza dei ragazzi i vantaggi di tornare in classe superano di gran lunga il basso rischio di ammalarsi di Coronavirus e le scuole possono intervenire per ridurre ulteriormente i rischi. La scuola — osserva ancora Miozzo — è comunque un ambiente protetto, controllato, dove insegnanti e personale obbligano gli studenti al rispetto di severe regole comportamentali». E ancora: «Chiediamoci quanti sono i giovani che da settimane o mesi quasi non escono più di casa, rifugiati nella loro stanza davanti ad uno schermo del pc per ore e ore, vittime di quella ormai famosa ‘sindrome della capanna’ che genera paura e ansia. Fra qualche tempo, ad emergenza Covid superata, vedremo i disastri provocati». Un monito pesante che deve far riflettere chi ha a cuore il destino dei nostri ragazzi. E a chi sostiene che «non c’era altra scelta se non la chiusura delle scuole» basterebbe ricordare che il Governo inglese, annunciando il lockdown totale (non light) dal 5 novembre al 2 dicembre, ha lasciato aperte le scuole.
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luca puerari
20 Novembre 2020
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Direttore responsabile: Marco Bencivenga
Commenti all'articolo
M
2020/11/21 - 08:01
Ottimo articolo
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