L'ANALISI
INTERVISTA ESCLUSIVA AL SINDACO GALIMBERTI
21 Agosto 2020 - 07:38
Il sindaco Gianluca Galimberti
CREMONA (21 agosto 2020) - Piazza del Comune è illuminata da un sole stupendo. Una famiglia di turisti esce dall’Info Point tenendo un depliant fra le mani e alza gli occhi verso il Torrazzo. «Wonderful!», commenta la figlia più grande. «Perepeperepepè» risponde il decespugliatore del giardiniere che taglia l’erba cresciuta irrispettosa fra le fughe del pavimento. «Chiedo scusa...», replica d’istinto il «padrone di casa», Gianluca Galimberti, come se si dovesse giustificare per quel rumore assordante. In realtà, il fracasso dell’operatore, la pulizia del selciato e il via vai di gente sono i più graditi segnali di rinascita della città dopo i lunghi giorni del silenzio, del buio, del lockdown. Sono passati sei mesi dall’inizio dell’emergenza Coronavirus. E dopo mezzo anno Cremona - la città più martoriata d’Italia - prova faticosamente ma caparbiamente a ripartire. Anche se l’emergenza è tutt’altro che finita. E nessuno dimentica la paura, il dolore, i lutti.
L’appuntamento con il sindaco è volutamente «open air». Inizia davanti a una spremuta d’arancia, al bar «Ai portici», e finirà nella redazione de La Provincia, in via delle Industrie, tali e tanti sono i temi da affrontare: il ricordo dei giorni più duri, le sfide della ripartenza, le preoccupazioni per la possibile seconda ondata, le conseguenze economiche della pandemia, il futuro da costruire su vecchie certezze e nuove priorità.
«Ciao, Galimba!», tuona un cremonese di passaggio, evidentemente poco avvezzo ai formalismi. Un giovane in bici, più prudente, si avvicina e chiede conferma: «Lei è il sindaco?». «Sì». «Ciao...». «Ciao», sta al gioco Galimberti, allungando il braccio, come si usa salutare da quando il Coronavirus ha allungato tutte le distanze.
«Anche questa è Cremona», commenta serafico il primo cittadino, più che mai primus inter pares, uomo del popolo, anche se porta sulle spalle la fascia tricolore e grandi responsabilità. Del resto, ritrovare il senso di comunità - le relazioni, lo stare insieme - è il modo migliore per riaffermare la normalità post pandemia. «Abbiamo tutti voglia di tornare a salutarci dandoci la mano, non con il gomito. E pure di abbracciarci...», confessa il sindaco, interpretando il sentiment dei più. E prendendo la rincorsa per rispondere alla prima domanda.
Sindaco Galimberti, sei mesi fa oggi, il 21 di febbraio, Cremona entrava ufficialmente nell’era Covid: se guarda indietro, cosa vede?
«Il primo ricordo è il coraggio di una città che ha saputo affrontare il dolore con grande dignità. Se guardo ai sei mesi che ci siamo messi alle spalle, vedo la compostezza e la forza d’animo dei cremonesi, vedo il dolore e il distacco, vedo anche gesti straordinari di solidarietà e di vicinanza da parte dell’intera comunità».
Il peso dei lutti è talmente grande che nulla li può «compensare». Ma sui due piatti della bilancia sono più i fattori positivi o quelli negativi?
«Quella che abbiamo vissuto a causa del Coronavirus è stata un’enorme tragedia, non solo per la nostra città, ma per l’intera umanità, per tutto il pianeta. In molti Paesi l’emergenza è ancora viva; soprattutto, si avverte una pesantezza assoluta, si vive nella paura, si fatica a gestire le relazioni e questa è la ferita più profonda che ci portiamo dentro. Il dolore che abbiamo provato per la separazione forzata dai nostri cari, in alcuni casi purtroppo una separazione definitiva, è un dolore impossibile da dimenticare, ma per certi versi non lo dobbiamo dimenticare. Perché è proprio da questo dolore che possiamo trarre la forza e il coraggio per capire come ricominciare, quali sono le cose essenziali dalle quali ripartire e sulle quali basare il nuovo percorso che abbiamo davanti».
Durante il lockdown, forse per farci coraggio, ci dicevamo che ne saremmo usciti migliori. Alla prova dei fatti, forse non è vero...
«Purtroppo oggi rischiamo di trasformare la tensione di quei giorni in una forma di disagio, di divisione, di rabbia. Purtroppo, il rischio c’è, sia nel Paese sia nella nostra città. Proprio per questo non dobbiamo dimenticare ciò che abbiamo vissuto, perché ciò che abbiamo vissuto ci ha detto cose importanti. Per esempio, nel momento di massima difficoltà ci ha fatto riscoprire il valore dei gesti di solidarietà che costruiscono una comunità. Solo ripartendo da lì, da quei gesti, potremo diventare migliori. Dimenticare ciò che abbiamo vissuto, al contrario, sarebbe un enorme sbaglio».
A sei mesi di distanza, l’emergenza si è attenuata, ma non è finita. Eppure rispetto a febbraio e a marzo, quando la stragrande maggioranza dei cittadini accettò le restrizioni e il lockdown in misura perfino sorprendente, ora c’è chi contesta i divieti imposti per limitare i contagi. Se a Cremona quasi nessuno esce di casa senza indossare la mascherina, nel resto del Paese ci sono sempre più persone insofferenti alle limitazioni, indisponibili alle rinuncia, se non addirittura convinte che il Covid non sia un pericolo reale. Perché, secondo lei?
«Dopo mesi di isolamento è normale che una comunità senta il bisogno di ricostruire le sue relazioni ed è importante che ci sia il desiderio di ritrovare un po’ di serenità. Non considerare questo bisogno sarebbe sbagliato, perché se la pressione aumenta troppo, alla lunga la pentola diventa una bomba e, prima o poi, esplode. Per evitarlo, bisogna avere la pazienza di stare vicini alle persone più fragili, di accompagnarle, se serve anche tenendole per mano. Come sindaco, sono molto felice e orgoglioso del comportamento responsabile dei cremonesi durante il lockdown e anche oggi, perché non è certo il momento di abbassare la guardia. Serve ancora la massima attenzione: lo dobbiamo a noi stessi e agli altri, perché se abbiamo imparato una cosa dalla pandemia è che ci si salva solo tutti insieme, se abbiamo attenzione per la nostra salute e per quella dell’altro, si tratti dei nostri familiari, dei nostri colleghi di lavoro o dei nostri vicini di casa».
Al culmine della pandemia, lei lanciò un appello al Governo - in sostanza: «A Cremona non ce la facciamo più: aiutateci!» - e non esitò a sottolineare i limiti della gestione dell’emergenza da parte della Regione Lombardia. Con il senno del poi e al di là di ogni polemica politica, rifarebbe tutto?
«Durante la fase più acuta dell’emergenza, io ed altri sindaci abbiamo sottolineato al Governo e alla Regione la necessità e l’urgenza di alcuni provvedimenti. In questo abbiamo svolto il nostro compito, che è la tutela della comunità, in un rapporto sempre leale verso le altre istituzioni. Ma attenzione: rapporto leale non significa privo di critiche costruttive e di sollecitazioni, se necessarie per il bene della comunità».
INTERVISTA INTEGRALE ALLE PAGINE 6, 7, 8 E 9 DE LA PROVINCIA DEL 21 AGOSTO 2020
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