L'ANALISI
01 Maggio 2020 - 08:06
CREMONA (1 maggio 2020) - Il confine tra chi continua a lottare e chi ha già vinto la sua battaglia è una vetrata ampia e luminosa. Quasi un passaggio trasparente fra due mondi: da un lato il brusio meccanico delle apparecchiature che pompano aria nei polmoni di corpi scivolati nell’assenza narcotica; dall’altra parte il bisbiglio biologico di labbra rimaste sigillate troppo a lungo, palpebre tornate ad aprirsi e chiudersi, mani che ora possono sfiorare, tastare e cercare. Nel limbo della Terapia intensiva dell’ospedale Maggiore – proprio lì, con i piedi puntati sulla soglia del destino – penetra il fotoreporter Filippo Venezia, maestro dell’obiettivo e collaboratore di alcune tra le più importanti testate nazionali. Il suo sguardo esplora quello spazio dove le dimensioni perdono sostanza. E le immagini si fanno pensieri. «L’impatto emotivo? Enorme – dichiara l’autore degli scatti pubblicati sul quotidiano La Provincia di Cremona e Crema, realizzati insieme al figlio Simone –. Nella mia carriera sono stato nella ex Jugoslavia per raccontare la guerra, a Lampedusa per documentare gli sbarchi dei migranti e in tanti altri luoghi che mi hanno segnato nel profondo. Niente, però, mi ha mai colpito come i malati di Covid ricoverati nei nostri ospedali». Perché è proprio dove la disperazione è più lacerante che la vita lancia abbaglianti lampi di bellezza. Tra i letti della Terapia intensiva cremonese, Filippo diventa testimone di un miracolo: «Due infermieri stanno regolando lo schienale di un paziente – spiega –. Riesco a guardarlo in faccia. E lui mi sorride, alza il pollice al cielo in segno di trionfo. È appena stato estubato».
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