L'ANALISI
EMERGENZA SANITARIA. L'INTERVISTA
23 Aprile 2020 - 07:36
Il dg Giuseppe Rossi
CREMONA (23 aprile 2020) - «L’emergenza Covid non è finita. È emergenza anche la ripartenza degli ospedali, il Maggiore e l’Oglio Po. L’abbiamo pianificata e avverrà di slancio, con i nuovi primari e quelli che si aggiungeranno; con interventi sulla struttura e quelli organizzativi. I cremonesi, con la loro generosità, hanno messo a disposizione molti fondi. Ma per la ripartenza servono altre risorse. Un punto deve essere chiaro: ripristinare i servizi è una componente dell’emergenza».
È da questo presupposto che, dopo i giorni più duri dello tsunami Coronavirus, il direttore generale dell’Asst di Cremona, Giuseppe Rossi, inizia a fare il punto sulla nuova fase che diventerà visibile di qui a pochi giorni, con il recupero dei primi reparti del Maggiore non più Covid.
Con quale spirito, e con quali obiettivi, riparte l’Asst Cremona?
«La prima fase è stata l’ondata di piena che ci ha travolto, con cento persone al Pronto soccorso ogni giorno, molte bisognose di ossigeno o di essere intubate; con la ricerca di posti di Terapia intensiva e i reparti da convertire per i pazienti Covid. Io dico che l’emergenza Covid non è assolutamente finita. Prosegue in una seconda fase: la ricostruzione. Quello che ha lasciato il Covid ci impone un’emergenza anche in questo secondo momento. Abbiamo un assoluto bisogno di ripartire perché i bisogni della popolazione non sono stati cancellati dal Coronavirus. Dobbiamo ripartire ripristinando tutti i percorsi per i pazienti normali e, nel contempo, riorganizzare l’ospedale per far fronte ai pazienti Covid. L’idea è quella di consolidare il percorso già dedicato ai pazienti Covid agli infettivi e definire proprio lì, in quella palazzina, l’area Covid. Si tratta di riorganizzare il Pronto soccorso, eventualmente, se ci fossero i fondi, anche ristrutturandolo. L’obiettivo è separare il percorso tra pazienti normali e pazienti Covid e dare tutti gli strumenti ai nuovi primari che devono arrivare e a quelli che già c’erano, per ricominciare le rispettive attività e per potenziare le loro strutture. Queste le linee guida lungo le quali ci stiamo muovendo. In più, dobbiamo ripristinare tutta l’attività ambulatoriale, che è stata sospesa, prestando particolare attenzione ai percorsi tra i pazienti potenzialmente infetti e quelli che non lo sono».
Avete stilato un programma? E una gerarchia dei reparti che vanno recuperati?
«Assolutamente sì. Proprio oggi abbiamo deciso che la gestione operativa, che è la struttura deputata a predisporre e gestire questa fase, si occuperà in prima persona della calendarizzazione, della tempistica e dell’esecuzione delle strategie che abbiamo deciso di mettere in atto. Abbiamo definito un programma. Chiaramente dobbiamo essere sempre attenti all’eventuale ripresa di ondate epidemiche».
È possibile dunque pensare a una dismissione dell’area di pre-tirage allestita all’esterno nei primi giorni dell’emergenza?
«Per organizzare un Pronto soccorso a percorsi separati occorrono investimenti strutturali. Per tutto questo dobbiamo fare i conti con i finanziamenti regionali e il sostegno della popolazione. Si può intervenire sulle strutture, oltre che sulla organizzazione. Nel momento in cui l’epidemia sarà calata, anche la tenda del pre-triage avrà poco senso. Non è che i soldi raccolti per l’emergenza Covid sono finiti i ricoveri. Lo ripeto: l’emergenza Covid continua anche nella ripresa funzionale dell’ospedale. I soldi giunti grazie alla generosità dei cremonesi sono stati essenziali ma la raccolta fondi deve continuare per sostenere la ripartenza dell’ospedale».
Quando un primo ritorno alla normalità?
«Già dalla settimana prossima alcuni reparti ripartiranno. Si tratta di ultimare la sanificazione. Non tutto, però possiamo iniziare».
In questo ambito è dunque immaginabile un progressivo ridimensionamento dell’ospedale da campo allestito dalla ong nordamericana Samaritan’s Purse?
«Loro sono stati essenziali perché nel momento di massima emergenza e massima pressione sulla struttura ci hanno dato una grossa mano, soprattutto per quel che riguarda i posti di Terapia intensiva. In questo momento la pressione a livello di ricoveri è molto calata e anche loro cominceranno progressivamente a ridurre lo staff, lasciando le strutture così come sono, sempre pronti a ritornare se ci fossero problemi. In questo momento si attuerà una progressiva riduzione del personale mantenendo operativi tutti i letti di Terapia intensiva, proprio per evitare emergenze. Piano piano la loro funzione verrà meno».
Per quel che riguarda il laboratorio dell’ospedale in cui, dai primi giorni dell’emergenza, si svolgono le analisi sui tamponi Covid, cambierà qualcosa?
«Assolutamente no. Quello è il nostro laboratorio. Il problema iniziale era soltanto legato a un reagente per i test. Il laboratorio dell’Asst dal 4 marzo è stato attrezzato per processare i tamponi e refertare. Sino ad oggi ne sono stati effettuati 13.730. Non scherziamo. Queste follie sul fatto che l’ospedale do Cremona viene depotenziato non hanno alcun senso. Sono vecchio del mestiere e posso dire che è una cosa inesistente».
Per quel che riguarda il nuovo personale, ad esempio i medici volontari che hanno operato a Cremona in questo periodo, è possibile che una parte di loro rimanga a qualche titolo?
«Ci stiamo lavorando. Io in questi giorni ho incontrato tutti gli anestesisti che sono arrivati. Sono delle persone molto motivate, giovani, in gamba, qualcuno addirittura che viene dall’Inghilterra sta prendendo in considerazione l’idea di fermarsi qui, perché siamo abbastanza attrattivi. Si sono trovati molto bene. Alcuni di loro hanno espresso l’intenzione di fermarsi e noi ben volentieri lavoriamo a questa soluzione. Una partita che sarà gestita nelle prossime settimane».
Quali sono stati, in questi due mesi, il momento peggiore, quello in cui ha sentito la pressione di tutte le difficoltà, e quello invece in cui c’è stato uno spiraglio, una speranza? Il momento più nero e quello che ha annunciato il ritorno alla normalità?
«Il momento peggiore sono stati i primi quindici giorni dell’emergenza. Venerdì 21 febbraio (il giorno in cui è stata diagnosticato il primo caso di Covid-19, all’ospedale di Codogno, ndr) sono andato a casa verso le 17. Poco dopo, alle 19, mi hanno chiamato e sono immediatamente tornato in ospedale. Da quel momento, di fatto, non mi sono più mosso per un mese e mezzo. La fase iniziale è stata la peggiore. In ogni momento dovevamo prendere delle decisioni in merito a questioni fondamentali; avevamo pazienti che stavano malissimo ed arrivavano a frotte al Pronto soccorso. Il Covid è una malattia assurda, imprevedibile; non sapevamo che pesci pigliare. La cosa più sconvolgente è che c’erano pazienti che improvvisamente si aggravavano e altri che si presentavano con un quadro clinico abbastanza serio e poi stavano bene. Non riuscivamo a capire come si comporta questa malattia. Il senso di impotenza clinica da una parte, dall’altro l’impegno di tutti per fare qualcosa, e quando dico tutti mi riferisco anche all’attività degli amministrativi. Tutto il personale dell’ospedale, anche senza funzioni specifiche, perché non c’erano disposizioni preordinate, ha fatto davvero tanto. Qualcosa che è venuto dall’animo di ognuno. Da tutti coloro che potevano dare una mano. Perché, davvero, non sapevamo cosa fare. Quello è stato il momento più tragico. Il momento bello è stato quando abbiamo cominciato a capire qualcosa della malattia, e questo sta succedendo veramente da pochi giorni, e quando abbiamo cominciato a vedere poca pressione nei Pronto soccorso. Lì abbiamo cominciato a respirare. Non abbiamo sconfitto niente. Non abbiamo dominato niente. Ma in questo momento siamo rientrati in un ambito in cui abbiamo il respiro sufficiente per andare avanti».
Quanti decessi avete riscontrato dall’inizio dell’emergenza?
«In tutto 373 a Cremona e 158 all’Oglio Po».
Qual è l’età media dei pazienti che non ce l’hanno fatta?
«Sopra gli 80 anni».
Molti sostengono che all’inizio qualcosa non abbia funzionato a dovere. C’è chi ha segnalato scarsità di dispositivi di protezione.
«Asst non ha mai avuto carenza di dispositivi di protezione».
Nel momento di massima pressione sulle strutture ospedaliere, qual è stato il numero di degenti, in totale e in Terapia intensiva?
«Abbiamo raggiunto i 612 degenti, 60 in Terapia intensiva».
Come cambierà lo scenario, anche in vista della fase 2, se davvero si procede, di qui a qualche ora, a test sierologici a tappeto?
«A breve inizieremo a fare test sierologici su 150 persone selezionate da Ats Val Padana. Sono tutti contatti di pazienti positivi. Ci stiamo organizzando anche per fare i test ai nostri dipendenti».
Torniamo al programma di ritorno alla normalità dopo due mesi, che non sono pochi. Crede che l’arretrato, tutte le cose che sono state rimandate dei reparti convertiti Covid, dalla prevenzione ai controlli agli interventi, possa creare un problema nella fase iniziale della fase due? Siete pronti a gestire questo urto? Una quantità notevole di pazienti hanno rimandato tutto.
«Ci stiamo preparando. Ci auguriamo che le azioni che metteremo in atto siano in grado di evitare quella eventualità, e di farci gestire bene questo passaggio. Sicuramente Covid ci ha insegnato che moltissime richieste di attività ambulatoriali normali non rivestivano quel carattere di essenzialità. Si deve tornare sul concetto di base dell’appropriatezza delle liste di attesa. L’attesa va gestita in maniera ragionata: non è che il primo che arriva si accomoda, modello supermercato; chi ha più bisogno deve ricevere la prestazione per primo. L’emergenza Coronavirus ci consente di ripensare anche questo ambito. Ci stiamo organizzando».
Vicende del genere incidono molto in una organizzazione complessa come può essere un ospedale. Entra nella mente di chi ci lavora, nelle attività di ogni giorno, nell’organizzazione, ovunque, in maniera trasversale.
«È proprio così. Non ci sarà più una cosa uguale a prima. Io ricordo la polemica che c’è stata nei mesi scorsi sui medici del Maggiore. Abbiamo fior di primari che stanno arrivando. Abbiamo appena nominato quello di Otorinolaringoiatria, Luca Pianta, abbiamo nominato l’Urologo, che viene dallo Ieo, nominiamo il neurologo (che ha già vinto il concorso, ndr), faremo il concorso per il Pronto soccorso e avremo un Pronto soccorso che cambierà faccia, sarà una struttura che cura i pazienti e non che smista i pazienti; faremo il primariato della Rianimazione. Abbiamo le carte in regola per ripartire alla grande. Tutto quello che sto dicendo vale per Cremona ma anche per Oglio Po. La particolarità sarà che l’Oglio Po non ripartirà con un settore Covid, perché non è dotato dei reparti di Malattie infettive e Pneumologia. Tutti i pazienti che eventualmente si presenteranno per il Covid saranno gestiti a Cremona. L’Oglio Po sarà totalmente Covid Free».
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