L'ANALISI
02 Marzo 2020 - 08:06
CREMONA (2 marzo 2020) - Il provvedimento cautelare, firmato dal giudice per le indagini preliminari Pierpaolo Beluzzi su richiesta del pubblico ministero Chiara Treballi, incornicia i riscontri investigativi accumulati dai carabinieri ed è stato emesso nei giorni scorsi al culmine dell’ultima, violenta, aggressione: è quello classico che si dispone in casi simili, con obbligo di stare lontano dalle due case di famiglia e divieto di avvicinare l’ex moglie, i figli, la madre, il fratello e i parenti e da tutti i luoghi da loro abitualmente frequentati. Unica possibilità concessa: ritirare gli effetti personali una volta a settimana, sempre accompagnato da agenti della polizia giudiziaria. Ma è la storia di violenza fisica e psicologica, di percosse e minacce, di droga e intimidazioni che sta dietro al provvedimento, emanato nei confronti di un 56enne residente a Cremona, a mettere i brividi. Perché descrive un incubo vero, uscito solo ora, dopo settimane di paura, dal nascondiglio anche questa volta offerto dalle mura domestiche: secondo le indagini, l’operaio finalmente finito nei guai avrebbe, «con condotta abituale e sistematica, frutto di un medesimo disegno criminoso», maltrattato la ex compagna e i figli, uno in particolare; così come la mamma e il fratello, dopo essere tornato temporaneamente a vivere con loro per la riabilitazione necessaria in seguito ad un incidente stradale. E lo avrebbe fatto, sempre stando a quanto annota il pm, «con frequenza sempre maggiore».
Una escalation di percosse e terrore, senza motivazioni reali se non lo stato di completa alterazione psicofisica. Fino allo scorso 13 febbraio: al culmine dell’ennesimo diverbio, nel cuore della notte, il 56enne sferra un ceffone al volto della ex moglie e colpisce con una testata al naso il figlio, intervenuto in difesa della mamma. Si barricano in una stanza, i famigliari nel mirino. E a quel punto, con la situazione ormai insostenibile, mentre il 56enne infila un coltello nello stipite della porta chiusa a chiave, la richiesta di intervento ai carabinieri. E il successivo provvedimento: l’allontanamento urgente, deciso perché «sussiste il concreto pericolo che l’indagato, se lasciato in libertà, commetta altri gravi reati della stessa specie».
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