L'ANALISI
30 Aprile 2019 - 16:00
Il tribunale di Cremona
CREMONA (30 aprile 2019) - «Mio marito è rimasto in coma 15 giorni. Tuttora ha degli strascichi: gli è già stato riconosciuto il 46 per cento di invalidità per problemi all’occhio destro e all’udito dalla parte destra. La memoria a breve termine l’ha persa. La terapia è ancora in corso. Il medico ha detto che bisogna ripresentare la domanda per l’invalidità, perché c’è un peggioramento: dall’occhio non ci vede quasi più». Enrica è la moglie di Emilio Visigalli, il militante del centro sociale Dordoni ridotto in fin di vita il 18 gennaio del 2015, domenica, sul piazzale del Foro Boario, in via Mantova, teatro della violenta rissa scoppiata tra esponenti di CasaPound e antagonisti del Dordoni. Una rissa provocata da alcuni adesivi di CasaPound incollati sul portone del Dordoni, prima di Cremonese-Mantova, il derby giocato, quella domenica, nel vicino stadio Zini. Quando gli antagonisti, secondo l’accusa, tesero un agguato ai fascisti, aspettandoli davanti al Dordoni, schierandosi con le mazze in mano e i caschi in testa, Visigalli un passo davanti ai ‘suoi’, lui senza casco. Una domenica di violenza e sangue. Chi ha colpito in testa Visigalli? Nel processo, gli imputati dell’una e dell’altro fronte si sono già difesi. Gli uni hanno scaricato la responsabilità sugli altri. Unica certezza: Visigalli a terra, in un lago di sangue. Non facile trascinarlo via in mezzo a quella violenza.
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