L'ANALISI
12 Novembre 2016 - 15:57
Angela Biscaldi
CREMONA - Sempre più spesso gli studenti universitari lamentano di «non riuscire a capire» i testi d’esame e chiedono a noi docenti con insistenza — talvolta preoccupata, talvolta arrogante — che tutti i libri in programma siano spiegati riga per riga. In effetti, nonostante i manuali si semplifichino, i programmi si riducano e gli obiettivi prefissati per la sufficienza si abbassino, sempre meno studenti raggiungono una preparazione accettabile per superare l’esame, sempre meno studenti ‘capiscono’ quello che leggono.
Ci troviamo quindi di fronte alla richiesta di leggere e parafrasare in aula universitaria testi che fino a vent’anni fa gli studenti sapevano affrontare in autonomia con discreti risultati. Qualche docente cede, altri resistono, sempre però condividendo la preoccupazione per questo generale decadimento delle capacità interpretative, logiche e critiche.
Credo che le ragioni di questa difficoltà, più che in una improvvisa mutazione delle facoltà cognitive, siano da ricercare nell’habitus mentale generato dalla sedimentazione di cattive pratiche educative. I nuovi universitari sono cresciuti in aule scolastiche a suon di «chiedete se non avete capito» con adulti pronti ad intervenire per chiarire ogni dubbio e fornire immediatamente la risposta (quella più semplice) ad ogni domanda; hanno accumulato meccanicamente informazioni in pillole da manuali sempre più simili a giornaletti. Hanno alternato nelle mattine di frequenza scolastica, come in catena di montaggio, fino a sei materie diverse di insegnamento, sommando nozioni spesso frazionate ed eterogenee.
Lo sgomento che provano quando, universitari, si trovano per la prima volta soli davanti ad un testo completo, non sminuzzato e non premasticato, deriva dal fatto che non sono mai stati educati all’idea che la conoscenza è un processo che implica il far fronte ad alcune ‘opacità’, che i momenti di difficoltà nella comprensione sono quelli più fecondi e che c’è uno spazio — il non completamente comprensibile o il non ancora compreso — che è la leva più potente della curiosità, della ricerca, della sperimentazione. Conoscere non è capire tutto subito. Come accade nelle relazioni personali, stare nella difficoltà e trovare le strategie per affrontarla comporta un processo di crescita e di maturazione, nonché di ideazione creativa. Dietro a questo «non ho capito», «rispiegamelo», spesso anche angosciato, sta l’abitudine al ‘tutto subito’ tipica delle nuove generazioni; sta una pericolosa confusione tra l’informazione (rapida, immediata, fruibile senza troppo impegno) e la conoscenza, un processo complesso, che richiede fatica, pazienza, messa in gioco, progettualità.
Se pensiamo che la conoscenza abbia ancora un valore nella nostra cultura e che il compito della scuola sia quello di trasmettere una tradizione di saperi e di valori e non quello di smerciare informazioni, allora dobbiamo promuovere curricula e contesti di apprendimento in cui sia possibile lasciare ampio spazio all’approfondimento, alla riflessione sugli errori commessi, all’esercizio della critica. Contesti che insegnino ai nostri studenti a non spaventarsi di fronte al ‘non capito’, a non dipendere passivamente dalla mediazione del docente che deve ‘spiegare tutto’ (missione impossibile), ma piuttosto a saper stare nel tempo lungo di dubbi e domande che talvolta non possono trovare una risposta immediata — fornita da altri — ma solo dentro ad una personale ricerca di significati ed esperienza di vita.
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