L'ANALISI
02 Novembre 2016 - 08:59
La notte dell’operazione Aemilia a Castelvetro portata a termine dal’Arma
CASTELVETRO - E’ nei bar del paese e di Cremona che venivano prese le principali decisioni sugli affari mafiosi mantovani. E’ quanto emerso dalla testimonianza del luogotenente Camillo Calì, tornato in aula per parlare dei legami della Bassa Piacentina e del Cremonese con la ‘ndrangheta, ma stavolta non al processo ‘Aemilia’ in corso a Reggio bensì al processo ‘Pesci’ di Brescia dove sono imputate 16 persone per il filone d’indagine mantovano. Dopo l’importante testimonianza dell’ex comandante della compagnia di Fiorenzuola maggiore Andrea Leo, che aveva rilasciato dichiarazioni sui presunti rapporti fra Giorgio Gobbi e la ‘ndrangheta, pochi giorni fa è toccato infatti a Calì del nucleo investigativo di Piacenza: pungolato per nove ore dal sostituto procuratore Paolo Savio, l’ex comandante della caserma di Monticelli ha raccontato con dovizia di particolari le attività di pedinamento e di intercettazione di quelli considerati ‘i puledri’ del presunto boss Nicolino Grande Aracri. Ovvero Francesco Lamanna (cutrese residente a Cremona) e Antonio Gualtieri. Ma Calì ha anche spiegato come gli affari mafiosi nel Mantovano si decidessero proprio tra Castelvetro e Cremona.
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