L'ANALISI
22 Settembre 2016 - 10:04
La sede Tamoil di Cremona
CREMONA - "In alcuni settori della raffineria il sottosuolo risulta contaminato da idrocarburi in concentrazioni eccedenti i valori limite stabiliti per le aree industriali dalla normativa vigente...". E' il 2001, quando la raffineria Tamoil autodenuncia l'inquinamento del terreno causato dalla rete fognaria ammalorata, aggredita, di giorno in giorno, da sostanze altamente corrosive. Quell'autodenuncia risuona come un 'campanello d'allarme'. Eppure, devono passare tre anni prima che la stessa Tamoil, nell'ottobre del 2004, "decida finalmente di eseguire le necessarie video ispezioni". Un "grave e ingiustificato ritardo", a cui si accompagna "la provata condotta reticente tenuta dalla stessa Tamoil con riferimento alle informazioni da fornire agli enti sia omettendo di comunicare tempestivamente gli esiti delle video-ispezioni e le successive attività di risanamento delle tubazioni fognarie, sia riferendo falsamente al Ministero dell'Ambiente di disporre di una rete fognaria completa ed efficiente". Il "grave, notevole e ingiustificato ritardo" è l'architrave delle 248 pagine, indice compreso, di motivazione della sentenza con cui lo scorso 20 giugno, la corte d'assise d'appello di Brescia (presidente Enrico Fischetti, consigliere Massimo Vacchiano) ha condannato a tre anni di reclusione per disastro ambientale colposo, con l'aggravante dell'aver agito nonostante le previsioni dell'evento, l'ingegnere Enrico Gilberti, amministratore delegato dal 1999 al 2004 di Tamoil Raffinazione SPA e 'preposto' dal 1999 al 2006, mentre ha assolto i manager Pierluigi Colombo, Giuliano Guerrino Billi e Mohamed Saleh Abulaiha.
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