L'ANALISI
28 Ottobre 2015 - 08:13
Strappo tra Diocesi e Comune sul registro delle unioni civili
CREMONA - Compare da ieri (martedì 27 ottobre) sul sito della Diocesi come semplice riflessione, ma sembra avere il valore di una chiara presa di distanze dalla scelta dell’amministrazione, l’intervento firmato dall’avvocato Gabriele Fornasari, si suppone commissionato e zeppo di perplessità sul registro delle unioni civili frutto del lavoro di consiglieri, forze politiche e tecnici oltre che di 348 cremonesi che hanno sottoscritto una proposta di deliberazione ora aperta alle osservazioni dei cittadini. La bozza è presente dall’altra settimana sulla pagina web del Comune ed è quella che Fornasari, legale del foro di Cremona, analizza. Partendo da una premessa che, nel suo essere già significativa nelle riserve che delinea, apre la strada alle considerazioni che in seguito definiranno meglio ancora la contrarietà: «La stampa nazionale parla, da tempo, di ‘flop’ dei registri, così sostanzialmente significando il disinteresse dei cittadini all’iscriversi. Basti ricordare che a Bologna esiste dal 1999 e che al 2012 solo otto coppie si erano iscritte. Se questa è la storia, e parliamo della evoluta Bologna, mi sono chiesto quale urgenza animasse l’amata Cremona. La domanda mi sorge, infatti, quale padre di tre figli che incontra non poche difficoltà a far conciliare le esigenze scolastiche, sportive, ricreative e formative che ad oggi costituiscono il più soddisfacente investimento per il futuro mio, di mia moglie ed auspico (non senza un po’ di presunzione) anche della comunità a cui appartengo. Magari il dispendio di energie della commissione comunale incaricata poteva essere meglio indirizzato». Quanto al risultato, «come giurista avrei da manifestare una serie di perplessità». La prima: «Il registro delle unioni civili — mette la pietra l’avvocato Fornasari — non ha valore legale. L’amministrazione locale sta promuovendo un’iniziativa in ambiti alla stessa non deputati e se il legislatore nazionale ancora non ha provveduto, un motivo ci sarà». La seconda: «È legata al fatto che l’articolo 6 comma secondo parla di diritti e benefici in capo agli iscritti: non ricordo che il regolamento parli di doveri. È evidente — per il legale — che la regolamentazione di un legame tra soggetti non può produrre solo diritti e al diritto di un soggetto non può che corrispondere il dovere dell’altro e viceversa. Se così non è, allora è lecito chiedersi se davvero stiamo regolamentando un’unione. Io credo di no». Nel senso che «all’etichetta potrebbe, dico potrebbe, non corrispondere il prodotto». La terza, per Fornasari «la più dolorosa», si incastona sull’articolo 4: «Consentirebbe ad un mio concittadino, Tizio, di potersi iscrivere al registro delle unioni civili con Caia (o Caio) producendo il decreto di omologazione della separazione personale dei coniugi. Quindi, Tizio risulterebbe ancora sposato (seppur separato) con Mevia ma nel contempo civilmente registrato con Caio (o Caia). Ma il periodo di separazione personale dei coniugi era, nell’intento originario del legislatore, quel periodo deputato agli stessi affinchè meditassero sulle conseguenze della decisione intrapresa e valutassero l’opportunità di riprendere un cammino insieme». Conclusione tranciante: per Fornasari, la possibilità di iscriversi al registro in questo periodo è paradigmatica del pensiero contemporaneo, vale a dire, nella sua ottica, «un incentivo al disimpegno e alla risposta immediata, quella ‘di pancia’». Con un dubbio finale: «Immaginiamo che in questo lasso di tempo si verifichi una situazione di ‘fine vita’. Il medico deputato a chiedere a chi si rivolgerà? Alla separata moglie Mevia? Al civilmente registrato Caio (o Caia?). Ma forse questo per Cremona potrebbe non essere un problema: la morte di Piergiorgio Welby ci ha insegnato che i vuoti legislativi possono essere colmati, nella pratica». Concetti chiari. E parere definito. Specchio, presumibilmente, di quella della diocesi.
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