L'ANALISI
16 Marzo 2021 - 09:03
CREMONA (16 marzo 2021) - Un anno dopo, la storia si ripete quasi identica. Allora, durante il lockdown del terrore, la città era sprofondata in un silenzio greve e spettrale dentro il quale si agitava il demone dell’angoscia, aizzato dall’attacco feroce di un nemico invisibile e sconosciuto. Oggi la minaccia è la stessa, ma la calma inquieta che attraversa la zona rossa è differente: alla paura si mescolano lo sfinimento e il disincanto maturati in dodici mesi vissuti a strappi, tra speranze puntualmente frustrate e slanci di ottimismo sepolti sotto il peso delle inarrestabili ondate del contagio. Nel marzo in cui Cremona, Crema e l'intera provincia hanno incontrato il mostro, la reazione allo sgomento e al dolore era stata fiera e orgogliosa. In questo nuovo marzo di chiusure forzate, invece, le strade deserte e le piazze disabitate raccontano la prostrazione di una gente spremuta e avvilita. Sono nude le vetrine dove lo scorso anno occhieggiavano cartelli arcobaleno con messaggi pieni di coraggio e di fiducia. E al posto delle lenzuola candide che facevano sventolare nell’aria già calda la scritta «Andrà tutto bene», oggi si trova un unico telo rosso — apparso lungo corso Mazzini, nel centro storico di Cremona — che recita, in un dialetto schiettamente espressivo, «Ghe ‘ndat bèen en...». Già, un beneamato niente.
Nella seconda primavera impossibile, la lastra azzurra del cielo risulta — forse — ancor più insopportabile. Dovrebbe essere la stagione degli aperitivi all’aria aperta, invece i tavoli nei plateatici sono incatenati gli uni agli altri accanto a cataste di sedie inutilizzabili. Dovrebbe essere il periodo dello shopping frou-frou, ma il rosa sgargiante dei vestitini e il giallo accesso delle camiciole compongono macchie immobili al di là dei vetri dei negozi con i lucchetti alle porte. Dovrebbero essere i giorni delle biciclettate tra amici, eppure sono poche e solitarie le due ruote che fendono l’aria, avvelenata di sconforto e di rassegnazione. Scene che si ripetono in fotocopia da un capo all’altro del territorio, a Cremona come a Crema e in tutti gli altri centri della provincia.
I segni di vita sono rari. Qualcuno, fermo lungo un marciapiede, sorseggia un caffè da asporto servito in un infelice bicchiere di cartone. Un manipolo di temerari cerca uno sprazzo di serenità sbocconcellando una pizzetta o un tramezzino nell’unico cono di luce che si allunga sulla piazza baciata dal sole. Ai giardini pubblici le panchine sono occupate da sparute presenze che respirano mute attraverso le mascherine. Ogni tot il silenzio è infranto dallo scalpiccio di un cane al guinzaglio o dal cigolio delle ruote di una carrozzina spinta da una mamma. No, davvero dopo un intero giro di calendario non è cambiato quasi niente. Di nuovo, piuttosto, ci sono gli annunci appesi alle vetrine (non poche) vuote: i «vendesi» e gli «affittasi» che si sono moltiplicati nei mesi marcano la distanza fra quel maledetto lockdown e questa triste zona rossa. Ma ci sono anche altri cartelli che, al contrario, offrono un messaggio di resistenza: promuovono le vendite a domicilio e sponsorizzano lo smart shopping. Nella schiera di saracinesche chiuse, spunta un timido «ci vediamo presto». Chiuso da tre puntini di sospensione in cui è impresso il senso di un’attesa esausta.
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